I due racconti qui proposti mostrano, una volta di più, la straordinaria capacità di introspezione e l’assoluto spessore filosofico del grande autore russo. In La mite, Dostoevskij mette in scena un malsano rapporto coniugale, nel quale un uomo riduce la buona e umile moglie in uno stato di prostrazione psicologica dalle conseguenze tragiche per entrambi; in Il sogno di un uomo ridicolo, il protagonista aspirante suicida sperimenta una visione onirica in cui visita una società primordiale ideale, dove ogni individuo vive in perfetta armonia con gli altri e con il Creato. Il sogno diventa dunque un espediente per una riflessione sulla natura del male, che per Dostoevskij non è insito nell’uomo ma potrebbe essere debellato dalla società, se solo l’uomo stesso lo volesse davvero.