Gli arancia meccanici
Marco Cicala, il venerdì
Tre rapinatori, una pletora di complici, una sequela spropositata di colpi e un malloppo complessivo impossibile da quantificare. Troppi zeri. Assalti a domicilio, torture, stupri: indietro tutta alla Roma ultraviolenta degli anni 1979-'83, quelli in cui impazzava la Banda dell’Arancia Meccanica, appellativo di conio giornalistico per un sodalizio criminale che a confronto il branco del film di Kubrick era un'opera pia. Classe 1955, per quattro decenni "nerista" a Paese Sera e poi a Repubblica, Massimo Lugli ha tratto spunto dalla vicenda per il 27simo dei suoi romanzi (Newton Compton editore), parte dei quali scritti in tandem conl'ex dirigente della Omicidi Antonio Del Greco, e ispirati alle pagine più truci delle cronache capitoline, dal delitto Pasolini a via Poma, dal "Canaro" al "Nano" della Stazione Termini. «La gang dell'Arancia Meccanica avrebbe messo a segno oltre settecento rapine, fruttate quindici miliardi di lire. Cifre gigantesche, ma da prendere con le molle. Su quella storia si è favoleggiato parecchio. Il bottino non venne mai ritrovato» ricorda Massimo nella sua abitazione romana, zona Fleming.
Agostino Panetta, più i luogotenenti Maurizio Verbena e Giuseppe Leoncavallo. Chi erano?
«Tre coatti di Torre Angela. Panetta era stato poliziotto come suo padre, un genitore pare molto violento».
Il know-how acquisito in polizia fu messo a frutto nelle rapine.
«La banda conosceva i meccanismi investigativi. Erano sempre un passo avanti sugli inseguitori. Gettarono la Mobile nella disperazione».
Prendevano di punta i quartieri-bene, le case dei famosi.
«L'attore Fabio Testi, il cantante Peppino di Capri, il produttore Franco Cristaldi, l'editrice Adelina Tattilo... Ma correva voce che la lista delle celebrità fosse più lunga. Forse altri nomi vennero tenuti nascosti».
Come li sceglievano?
«Penso che li adocchiassero banalmente per strada o nei locali notturni. Attratti da un gioiello, una pelliccia, un Rolex».
Durante i colpi si abbandonavano a bagordi.
«Oltre alle casseforti, svuotavano i frigoriferi. Champagne, e frutta, grandi scorpacciate di frutta. Difficile non vederci un odio di classe».
Quattro anni di razzie. Ma alla fine commisero un errore fatale, che non sveleremo.
«Quello scivolone fu quasi il sintomo di un cupio dissolvi, come se non ne potessero più e volessero farsi prendere»...
30/05/2025