E’ stata la partita più importante


Ero un sedicenne come tanti, che giocava a calcio e usciva con gli amici, quando ho dovuto affrontare una prova più grande di me. Ho vinto, ho sconfitto il mostro. Ora, voglio vivere

Storia di Niccolò Palombini

Raccontta da Valeria Camagni su Confidenze

 

Perché proprio a me? Quante volte nella testa mi è risuonata questa domanda: doveva succedere proprio a me? E proprio a 16 anni? Me lo sono chiesto con rabbia così tante volte che alla fine per rabbia ho smesso persino cercare una risposta. O meglio l'ho capita da solo: nella vita succede che ti mettano alla prova con qualcosa di più grande, più della tua vita di ragazzo, della passione per la Roma e per il pallone, dell'amore incondizionato dei tuoi genitori e quella prova per me è stato il tumore. Mi sono ammalato di osteosarcoma a 16 anni, l'età in cui scorrazzi in motorino con gli amici, magari esci le prime volte con una ragazza. Io allora ero sportivissimo (lo sono ancora a dire il vero), giocavo a calcio, che è da sempre la mia grande passione e tifavo la Roma (la squadra del cuore non è cambiata). E proprio sui campi di calcio avevo avvertito i primi disturbi. Un dolore intenso e fortissimo che a volte mi costringeva a buttarmi per terra. La notte poi sentivo come delle scariche elettriche nella gamba, non capivo da cosa dipendessero, ma in cuor mio ho avuto subito il sentore che qualcosa non andasse bene e quando la dottoressa disse a mia madre: «Ma cosa vuol fargli fare la risonanza a 16 anni...» sono stato io a insistere perché mi facessero indagini più approfondite. Da quel giorno è iniziato il mio calvario. Il momento più brutto? Quando è arrivata la diagnosi di tumore: a darmela è stato il padre del mio miglior amico, il dottor Mario Tartarone. E da lì è iniziata la mia corsa contro il tempo per battere il mostro invisibile che avevo dentro. Da quel momento sono sprofondato nella paura più totale di non farcela, nella sofferenza di vedere i miei fratelli e i miei genitori in preda alla disperazione. In famiglia siamo tre fratelli gemelli, naturalmente legatissimi. In quei giorni mi dicevo: se muoio io muoiono anche loro, devo combattere per tutti e tre. E così è stato. Dalla mia vita tranquilla di sedicenne sono stato catapultato nel girone degli esami medici, delle sedute di chemio, dei controlli. Perché la parola tumore non include solo la malattia, tumore vuol dire anche stare settimane, mesi lontano dalla tua casa, non dormire più nel tuo letto, nella tua stanza, vuol dire vedere le persone che stanno accanto a te star male, e cercare di non farti vedere troppo angosciato per non aumentare la loro ansia. Tumore è tutto questo e quando l’ho realizzato ho detto: “Adesso ti faccio vedere io chi sono, devo tirare fuori tutta la forza che ho per combattere, questo non è un gioco alla Playstation, qui c'è in ballo la mia vita". Il momento più bello? Paradossalmente quando mi sono svegliato dopo l'intervento all'ospedale di Pisa e la prima cosa che ho fatto istintivamente è stato toccarmi la gamba per vedere se c'era ancora. Poi ci sono state le lunghe settimane al Policlinico Gemelli di Roma per le chemio: dovendo fare tante sedute consecutive non potevo gestire tutto in day hospital e quindi mi hanno ricoverato. Ecco in quei momenti era davvero dura, perché per quanto avessi intorno tutto l'affetto possibile della mia famiglia, degli amici e anche del personale medico e infermieristico dell'ospedale, davanti alla malattia si è sempre soli. Quando cala la sera e l'orario di visita finisce, si resta a tu per tu con le proprie paure e quei momenti sono anche difficili da raccontare, da condividere con chi ti viene a trovare perché non vuoi aumentare la loro preoccupazione. In ospedale c'era una psicologa che ogni tanto veniva a trovarmi proprio per darmi un supporto e cercare di farmi aprire un po', ma a me non andava di confidarmi a un'estranea. Per me il miglior psicologo è stato scrivere il libro: a suggerirmi di mettere per iscritto le mie emozioni è stata l'oncologa che mi seguiva, mi ha detto di tenere un diario e ho cominciato così a scrivere giorno dopo giorno la mia battaglia contro il male, le piccole conquiste e i giorni no, il calvario delle chemioterapie, le nausee, la perdita dei capelli. Sentivo che scrivere mi faceva bene, mi aiutava a tirare fuori la rabbia, il dolore, la paura, tutte emozioni troppo grandi da esprimere a voce. E nello stesso tempo aumentava la mia determinazione, il coraggio e la grinta che era necessario tirar fuori per uscirne. Ho visto che mi face[1]va bene mettere per scritto ciò che provavo e, una volta guarito, ho pensato che quel diario potesse diventare un libro ed essere di aiuto per altri ragazzi che si trovano ad affrontare la mia stessa malattia. In ospedale ne ho visti tanti: a loro vorrei dire di non flagellarsi troppo a chiedersi perché proprio a me, di non farsi offuscare dalla rabbia, vorrei dire loro che l'importante è guardare l’obiettivo, pensare a come uscirne.

Questa esperienza mi ha fatto crescere tanto, oggi vedo la vita in modo diverso, e devo dire che in quei momenti di solitudine e paura estrema ho riscoperto la fede in Dio. Una notte in particolare, non riuscivo a dormire per i cattivi pensieri che aleggiavano in me, ricordo di essermi sentito perso e in quel momento mi è venuto spontaneo iniziare a pregare. La malattia è stata anche una cartina di tornasole per capire chi erano veri amici e le persone di cui mi potevo fidare. Non dimenticherò mai la sera in cui la mia ragazza mi ha lasciato con un sms: ero in ospedale, reduce dall'ennesima sessione di chemio quando ho ricevuto il suo messaggio. Ma non dimenticherò mai neppure la sera in cui giocava la Roma e trasmettevano la partita alla televisione, c'era mia mamma come sempre al mio capezzale, quando hanno fatto irruzione in stanza i miei amici con le pizze... Erano venuti a farmi una sorpresa e a vedere la partita con me. È stato un momento di gioia condivisa indescrivibile. Mai però come la gioia provata la sera del 30 novembre 2019, quando finalmente anche l’ultima goccia di chemio era veramente finita.

Tante persone si sono spaventate davanti alla mia malattia, mi hanno evitato durante quei mesi difficili, per poi magari tornare a cercarmi dopo, ma nel momento del bisogno sono in pochi quelli che sono rimasti. E questo mi ha fatto capire di chi mi posso fidare veramente. Io non ho mai nascosto di avere un tumore, quando mi chiedevano perché zoppicassi dicevo chiaramente quello che avevo, anche in classe a scuola ne abbiamo parlato ed è stata dura in alcuni momenti frequentare le lezioni, perché mi sentivo debole, non riuscivo a concentrarmi.

Adesso comunque sono guarito, ne sono uscito. Naturalmente devo sottopormi a controlli continui, sto facendo fisioterapia e ho ripreso a fare sport. So che non tornerò mai come prima per il semplice fatto che nella mia gamba c'è una protesi che va dall'anca alla tibia, ma pazienza. Quest’anno conseguita la Maturità scientifica mi iscriverà alla Libera Università di Economia a Roma, mi piacerebbe lavorare nel mondo del calcio come procuratore sportivo. E poi tutto il resto è vita e voglio viverla.


27/07/2021

Scarica file PDF allegato