Raccontare una famiglia perbene. Intervista a Rosa Ventrella


di Gerardo Perrotta

È da oggi in libreria Storia di una famiglia perbene di Rosa Ventrella, pubblicato da Newton Compton.
Un romanzo che potrebbe essere definito come il racconto di Bari vecchia, con le sue storie di profonda umanità, ma anche di degrado e miseria, a fare da sfondo alle vicende di una famiglia tra gli anni Settanta e Ottanta, ma soprattutto al legame di amicizia e amore tra Maria De Santis, soprannominata Malacarne per il suo spirito ribelle e inquieto, e Michele.
Un amore che rappresenta per entrambi quasi un modo per sentirsi vicini in un ambiente che si mostra ostile, così ricco di soprusi e di violenze più o meno piccole.
E proprio di questa difficoltà di nascere, crescere e vivere in un luogo così abbiamo volute parlare con Rosa Ventrella nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
 
Con Storia di una famiglia perbene diventa ancora più evidente come uno dei temi al centro dei suoi libri sia la famiglia con le dinamiche al suo interno. Da dove nascono quest’attenzione e quest’interesse?
A mio parere la famiglia è ancora il perno intorno a cui ruota la vita di ciascuno di noi. Gli adulti che diventiamo, la vita che scegliamo di condurre, le cose che riteniamo più o meno importanti, penso che molto di noi si possa ricondurre al tipo di infanzia che abbiamo trascorso. Alle certezze che abbiamo costruito lungo la strada e ai vuoti che abbiamo magari lasciato incolmati.
  
Già con Il giardino degli oleandri aveva in parte raccontato la Puglia e le vicende di Storia di una famiglia perbene sono ambientate a Bari. Lei invece vive a Cremona. Quanto incide la nostalgia della casa nella scelta di queste ambientazioni?
Non si tratta di vera e propria nostalgia, ma piuttosto di un legame viscerale che, nel bene o nel male, segna quello che sono. Il rapporto con la mia terra è passato attraverso diverse fasi. L’ho prima odiata, poi mitizzata, infine semplicemente accettata. Si è trattato di un percorso lungo, non privo di ostacoli e talvolta doloroso. Aver scritto questo romanzo ha rappresentato una sorta di momento catartico. A volte è necessario rivivere tutto dal principio per capirne il senso profondo. E ora è tutto più chiaro nella mia mente!

Il romanzo è ricco di personaggi femminili molto densi, primo fra tutti la protagonista, Maria De Santis. Si apre però proprio con lei che ci offre un ritratto del padre. La figura paterna è ancora così importante per le donne?
Direi che è fondamentale e che condiziona tutte le nostre scelte più o meno consapevoli. Per costruire la figura paterna di Maria, mi sono avvalsa del preziosissimo aiuto di una psicologa e psicoterapeuta, la dott.ssa Finetti, che ha trattato molti casi di violenza assistita. Anche grazie a lei, ho capito quanto la figura paterna sia decisiva nel determinare la nostra stessa personalità, e come, in quanto donne, ci segni nel profondo, lasciando spesso e nei casi peggiori, tracce indelebili.
 
Il racconto vero e proprio ha inizio con la piccola Maria De Santis che rischia di annegare. Dal punto di vista simbolico quest’episodio può essere considerato come il momento che segna la nascita di Malacarne? Quasi uno spartiacque?

In realtà, Maria è attratta dalla potenza del mare in burrasca che però ha anche un valore simbolico. Malacarne vuole infatti scoprire fin dove possa spingersi, dove possano portarla il suo coraggio e la sua voglia di sfidare i limiti imposti da un mondo nel quale lei sin da piccola si sente forestiera. Credo che il suo modo di porsi di fronte ai condizionamenti del rione, la sua voglia di tirarsene fuori, sia il vero motore della storia.
 
A soprannominare Malacarne la giovane Maria è la nonna, mentre la mamma annuisce. Quanto può incidere un fatto del genere nella vita di una ragazza prima e di una donna poi?
Il personaggio della madre di Maria è molto complesso perchè rappresenta da una parte lo scoramento di chi accetta la sua condizione perché sa di non poterla cambiare, dall’altra la caparbietà, sempre mansueta però, di una madre che cerca di proteggere i propri figli da una realtà che potrebbe inghiottirli da un momento all’altro. In realtà c’è sempre molta complicità tra la madre e la nonna di Maria, e in generale una grande solidarietà femminile. Ci si sente tutte madri di figli spauriti e in pericolo. Il legame tra le donne fa sicuramente da collante, crea una rete protettiva per i giovani, più esposti ai pericoli del mondo esterno.

Siamo a Bari, o meglio a Bari vecchia negli anni Ottanta che lei descrive in maniera cruda e diretta, come un territorio in cui a farla da padrone è il sopruso. Cosa vuol dire nascere e crescere in un contesto come questo? E quanta fatica costa liberarsene?
Vuol dire senz’altro diventare più duri, costruirsi una corazza per proteggersi non solo dall’esterno ma da se stessi. Vuol dire anche però capire il fondo delle cose, l’essenza dell’essere una famiglia, la necessità di fare muro contro la violenza, attraverso la solidarietà popolare, le parole semplici che ti confortano. Tanta voglia di riscatto e di arrivare dove gli altri, con maggiore facilità, sono arrivati magari prima di te. Con una frase un po’ forte, direi che è insieme una condanna e un privilegio.

Il libro è anche una storia di amicizia e di amore, quella tra Malacarne e Michele. Questi due sentimenti possono essere una via d’uscita o di fuga?
Nel caso di Maria, l’amicizia con Michele in principio rappresenta una sorta di porto sicuro nel quale rifugiarsi. In seguito, una via di fuga. Penso che questi sentimenti però abbiano un valore universale che prescinde dal contesto sociale nel quale si vive. Nella storia di Maria, è sicuramente importante riconoscersi come simili, come depositari di un senso di estraneità che li rende unici e li fa sentire in un certo senso invincibili.

Fonte: Sulromanzo.it 26/04/2018


26/04/2018

Scarica file PDF allegato