Michele Fina: vi spiego quelle parole che cambiano la Storia


Il politico abruzzese autore con Gianluca Lioni di un libro che raccoglie i grandi discorsi che hanno lasciato una traccia

di Giuliano Di Tanna

«A mancare oggi non sono i discorsi, ma il silenzio e la capacità di pronunciare poche parole ma profonde». A Michele Fina non fa difetto il gusto del paradosso se si pensa che ha, da poco, pubblicato, in coppia con Gianluca Lioni, un libro intitolato "I grandi discorsi che hanno cambiato la Storia" (320 pagine, Newton Compton, 10 euro). Abruzzese di Luco dei Marsi, 39 anni, membro della segreteria del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, Fina parla del suo libro in questa intervista al Centro.

Come è nata l'idea di questo libro?
Con Lioni abbiamo condiviso la stanza di lavoro quando eravamo al Pd nazionale. L'idea è nata lì, come un gioco. Alla fine, il gioco è diventato un libro che è una mozione d'affetto verso la Storia e verso la parola. Chi fa politica s'innamora della capacità che hanno le parole di affabulare, convincere e persuadere.

Quali caratteristiche hanno «i discorsi che hanno cambiato la Storia»?
È possibile dirlo solo molto tempo dopo. Ci sono discorsi che hanno cambiato il mondo ma che sono apparsi, all'inizio, marginali. Dal Discorso della montagna di Gesù a quello di I have a dream di Luther King. Ma ci sono alcune costanti e tecniche di questi discorsi.

Quali?
Fra le tecniche, due straordinarie: le ripetizioni, che alzano il tono della retorica intesa in senso classico, e la lista. Ma la caratteristica più importante di questi discorsi è quella di essere mai accomodanti, sempre un po' scomodi: tendono in un primo momento a gelare la platea e poi a entusiasmarla.

Ce ne sono ancora di discorsi così oggi?
Oggi i discorsi sono diventati più belli, più strutturati. Ma non possiamo dire, adesso, se cambieranno la Storia. Bisogna attendere del tempo per poterlo affermare. Ce ne sono tre di recenti che potrebbero essere questo tipo di discorsi: quello della proclamazione di Papa Francesco con il suo "Buona sera"; quello di Trump, Americafirst"; e quello della rielezione con cui Napolitano sferzò il Parlamento.

Ci sono discorsi che avrebbe voluto inserire ma che non fanno parte del libro?
Ce ne sono tantissimi, anche se 100 sono già tanti. Avrei voluto inserire più discorsi di donne. Il fatto è che ce ne sono pochi, non per colpa delle donne ma della Storia.

La rivoluzione digitale sta cambiando la forma e il senso dei discorsi pubblici?
Oggi si è persa la profondità delle parole che tendono invece a fare surf sulla realtà. Manca la capacità di distillare le parole, che possono essere anche le poche di un tweet ma che devono essere profonde. È possibile che un grande discorso sia concentrato in un tweet. Quel "Buona sera" di Papa Francesco, per esempio, ha aperto un mondo.

Ci sono discorsi che le piacciono più degli altri?
Sì, per esempio, quello di Claudio, l'imperatore, fatto al Senato romano affinché i Galli potessero accedervi. Un discorso fatto alle grandi famiglie di Roma che si opponevano al loro ingresso. Claudio dimostra che anche quelle grandi famiglie erano state acquisite a Roma dal contado. È un discorso che parla anche all'oggi e al dibattito sullo Ius soli.

Fonte: Il Centro 22/10/2017


22/10/2017

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