La verità del cinema sul mistero Orlandi. Chi sa è in Vaticano.


Fonte: La Repubblica
A cura di MASSIMO LUGLI
ROMA. «Li avete visti quei manifesti alla stazione?». Fu Sandro Mazzerioli, un roccioso capocronista di Paese sera, a farceli notare: la foto di una ragazza di 15 anni con una fascetta nera sulla fronte e lo sguardo malinconico nonostante il sorriso solare. In basso, un numero di telefono da chiamare se qualcuno l`avesse vista. Scomparsa. Una delle tante adolescenti svanite nel nulla in una città in cui ancora si parlava di tratta delle bianche, di negozi d`abbigliamento con una botola segreta per intrappolare le clienti giovani, di adolescenti rapite e avviate al mercato della prostituzione d`oltremare. Nessuno di noi giovani cronisti che cominciammo, svogliati,a lavorarci poteva immaginare che quel viso da ragazzina di buona famiglia sarebbe diventata l`icona di uno dei più grandi misteri degli ultimi cinquant`anni, un groviglio di intrecci criminali, speculazioni finanziarie, magheggi di servizi segreti italiani e bulgari, false piste, rivelazioni pilotate, depistaggi, intrighi, imbrogli, speculazioni di ogni genere. Non fino a quando Paolo VI, dal balcone di piazza San Pietro, lanciò il suo appello per i familiari e catapultò il caso di Emanuela su una ribalta mondiale. I primi pezzi erano poco più di una breve di cronaca, poi la storia balzò in prima pagina e ci rimase per anni. Una tragedia infinita, iniziata il 22 giugno dell`83, negli anni di piombo e di sangue del terrorismo e della grande mala romana dilaniata da feroci faide interne, che Roberto Faenza ripercorre passo passo fin dall`inizio, in un film che sembra quasi un romanzo storico tanto quei tempi appaiono lontani: niente internet, niente cellulari, indagini a suola e tacco di appostamenti e confidenti, intercettazioni rudimentali. E nello stesso giorno in cui La verità sta in cielo debutta nelle sale, in libreria esce La verità sul caso Orlandi di Vito Bruschini, Newton & Compton editori, con un inizio molto simile alla
sceneggiatura di Faenza, Murgia e Notariale, ma una conclusione romanzata completamente diversa. Il mistero di Emanuela Orlandi è un evergreen. L`inchiesta è stata definitivamente archiviata il 6 maggio scorso, con aspri dissidi interni alla procura di Roma. Un`indagine controversa e spettacolare, con un colpo di teatro da docufiction quando la tomba di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss del gruppo testaccino sepolto nella Basilica di Sant`Apollinare, fu riaperta alla ricerca di improbabili indizi. Qualcuno insinuò addirittura che lì dentro potessero esserci i resti di Emanuela. Un`ipotesi delirante ma del resto, in questi trent`anni, si è sentito di tutto: la ragazza è viva, è ricoverata in un ospedale psichiatrico di Londra, si è nascosta su un`isola greca, è a Roma, senza memoria e con un falso nome. Tra le tante "rivelazioni" a puntate buone per le indagini in tivù, il film di Faenza punta molto su quelle di Sabrina Minardi, donna di mala e di coca, ex compagna di De Pedis, che ha parlato e straparlato, rovesciando sugli investigatori qualche mezza verità mista a una montagna di menzogne fino a quando i pm, spazientiti, le hanno tappato la bocca con un inedito decreto di secretazione. La tesi del film è sostanzialmente quella: un asse lor-Banda della Magliana con le immancabili ingerenze dei soliti spioni. Una pista intrigante e, sostanzialmente, plausibile visto che i legami tra la gang del "Pijamose Roma" e le speculazioni del Banco Ambrosiano sono stati defmitivamente accertati. Per quanto riguarda Emanuela, invece, solo ipotesi. Esiste veramente una verità sepolta in un dossier segreto promesso e mai consegnato, nascosto in una "segreta stanza" di Oltretevere? Paolo Orlandi, instancabile fratello di Emanuela che nel film interpreta se stesso ne è certo. Il regista, evidentemente, anche. Chí ha seguito l`indagine fin dalle prime battute, invece, continua a ruminare dubbi. Qualcosa, alla lunga, sarebbe venuto fuori. E se Io scenario fosse completamente diverso? Se Emanuela fosse finita in mano di un predatore sessuale occasionale e tutto il resto fosse solo una mastodontica montatura di spie e grande criminalità? È un`ipotesi, non meno probabile di tante altre. Un film, comunque, non deve trovare la verità. Deve dare emozioni. E le emozioni, di sicuro, non mancano, dalla prima all'ultima scena, quando un vescovo che ha l'aria di saperla tutta scandisce il lapidario: «Meglio il clamore che il silenzio». Su questo, almeno su questo, non ci sono dubbi.


06/10/2016