«Ho salvato mio figlio (e molti altri ragazzi) dalle grinfie dell’Isis»


Dimitri Bontinck ha raccontato in un libro la storia vera della sua lotta disperata per salvare il suo Jay imprigionato in Siria

di Marta Serafini

«Non sono mai stato il tipo di padre che ti aspetta alzato per farti la predica». La storia di Dimitri Bontinck inizia nel 1994. Dopo una missione nei Balcani con i Caschi blu, si prende una licenza e parte per l’Africa. Qui conosce Helen, nigeriana cattolica. I due hanno un figlio, Jay. La famiglia si trasferisce ad Anversa, in Belgio. Per un po’ tutto fila liscio. «Jay amava la breakdance. Da adolescente fu scelto per partecipare a un talent show. Si chiamava Move like Michael Jackson. Non entrò in finale, ma colpì tutti», racconta Bontnick ne Il cacciatore di terroristi in uscita oggi in Italia (ed Newton Compton).

A 15 anni, dopo aver rotto con una ragazza belga, «bionda e con gli occhi azzurri», Jay inizia a frequentare una giovane marocchina. Su sua richiesta si converte all’Islam. E’ la prima tessera del puzzle. A pochi metri da casa dei Bontinck, c’è il quartier generale di Sharia4Belgium. Allora quasi nessuno la conosce, ma è una delle reti jihadiste più pericolose d’Europa. A guidarla, tra gli altri, è Fouad Belkacem, potente reclutatore e predicatore estremista. Jay diventa una delle sue prede. «Una sera io e Hellen stavamo guardando la tv. Mandavano un servizio sulla radicalizzazione in Belgio. A fianco di Belkacem c’era Jay. Mi si gelò il sangue nelle vene: era come vedere il proprio figlio alla sinistra del diavolo».

Bontinck avvisa la polizia. Ma le autorità non possono fare nulla: il ragazzo ha solo 16 anni. Due anni dopo Jay compra una torcia, un sacco a pelo, un binocolo, una macchina fotografica, vestiti invernali. «Vado a studiare arabo in Egitto», dice mentendo alla madre. Ma parte per la Siria seguendo il destino di altre migliaia di giovani. E’ il 21 febbraio 2013. Si arruola nel Consiglio della shura dei mujaheddin, gruppo affiliato di Al Nusra, sigla qaedista che oggi si fa chiamare Hayat Tahrir al-Sham.

Per suo padre è l’inizio di un nuovo percorso che lo porterà nel mezzo della guerra siriana. Un fotografo messicano, Narciso Contreras e una giornalista olandese, Joanie de Rijke, lo aiutano ad entrare in Siria. Bontinck non lo sa ancora ma in quegli stessi mesi suo figlio è stato imprigionato perché ha manifestato il desiderio di tornare a casa. Inoltre il gruppo jihadista cui si è unito è passato con l’Isis. Jay è finito nella cella a fianco di James Foley, il giornalista americano che verrà decapitato e John Cantlie, il reporter britannico che verrà usato da Isis come strumento di propaganda.

Dopo mesi di tentativi Bontinck riesce a far fuggire suo figlio. Ma è solo l’inizio di un’altra tappa di questo viaggio. Nel futuro di Jay c’è un processo in Belgio nel quale dovrà testimoniare contro i suoi stessi compagni di Sharia4Belgium e in quello di Dimitri ci sono nuove missioni in Siria per tentare di liberare altri ragazzi finiti nella mani dell’Isis. Tra loro, c’è anche Laura Passoni, trentenne figlia di italiani emigrati in Belgio. «Non si trattava di pagare riscatti. Ma di trovare i canali giusti per farli uscire», spiega al Corriere Bontinck. Anche le autorità belghe e l’intelligence lo sostengono. «Molti di questi ragazzi non sono colpevoli, sono vittime. Ecco perché meritano una seconda occasione», sostiene.

Oggi Jay è tornato ad Anversa anche se teme la vendetta dell’Isis. Ma per suo padre l’importante è che sia vivo. «E chissà che un giorno non possa tornare ad essere quel bambino che amava Michael Jackson».

Fonte: Il Corriere della Sera 12/10/2017


12/10/2017

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