Conversazione tra Leonardo da Vinci (interpretato da Marco Malvaldi) e Michelangelo (interpretato da Matteo Strukul)


A cura di Severino Colombo

Leonardo versus Michelangelo. La sfida tra le due superstar del Rinascimento si rinnova ora in libreria: La misura dell'uomo (Giunti) con protagonista un giovane Leonardo da Vinci alla corte milanese degli Sforza chiamato da Ludovico il Moro, è da settimane ai primi posti nella classifica dei titoli più venduti; destino che toccherà con buona probabilità anche a Inquisizione Michelangelo (Newton Compton), volume appena uscito che racconta la tarda maturità della vita dello sculture e pittore artefice del David e della Cappella Sistina. «La Lettura» ha invitato gli autori dei due libri, Marco Malvaldi e Matteo Strukul, per una chiacchierata su come uno scrittore contemporaneo possa raccontare grandi personaggi del passato e su come si scrive un romanzo storico (di successo).

MATTEO STRUKUL — Ho scritto la serie sui Medici nel 2016. C'era un grande buco, non c'erano romanzi su Cosimo il Vecchio o su Lorenzo il Magnifico: un po' strano, dal momento che fanno parte della nostra storia. Da allora, dai Medici e poi con Casanova e ora con Michelangelo racconto verità di arte, storia e cultura. Non condivido la definizione di romanzo storico e romanzo di genere: da lettore dell'Iliade e di Tolstoj faccio mie le grandi avventure e i temi del tradimento, del sangue, della violenza e dell'intrigo che passano di mano in mano da Shakespeare a Schiller e li innesto su fatti reali, storicamente avvenuti. Raccontare il Rinascimento è poi per me un atto di gratitudine per essere nato in questo Paese, così ricco di storia e cultura. Gli italiani sono troppo assuefatti alla bellezza, non ci riflettono e non provano a proteggerla dall'assalto di turisti che sono sì una risorsa, ma sono anche nuovi barbari.

MARCO MALVALDI — Al romanzo storico sono arrivato da un percorso diverso e molto rinascimentale, per commissione: mi è stato chiesto di scrivere qualcosa che avesse Leonardo da Vinci come protagonista. Si ricorda il Rinascimento soprattutto per l'arte ma è anche il periodo che permette di gettare le basi della scienza. All'epoca la divisione tra due culture, umanistica e scientifica, non esisteva; è venuta dopo, con Benedetto Croce: Leonardo era ingegnere, architetto, pittore, scultore; Michelangelo era scultore, pittore, autore di sonetti; così Leon Battista Alberti e Albrecht Durer. La cultura all'epoca era tutto quello che il cervello umano può fare. Condivido la questione della riconoscenza: uno pensa poco al fatto che c'erano 50 milioni di possibilità su 7 miliardi, meno di una su mille, di nascere in Italia. Siamo un Paese che ha moltissime opportunità per crescere, purtroppo quasi nessuna per diventare adulto.

Michelangelo l'eroe di un romanzo popolare? E si può parlare con ironia della genialità di Leonardo?

MATTEO STRUKUL — Ci vuole un po' di coraggio e molta incoscienza. Ma d'altra parte il bello di scrivere un romanzo sta nell'osare: la volontà è di proporre questi grandi personaggi in maniera diversa: partire da una base storica, poi trasfigurarli. Ogni scrittore porta il suo bagaglio di esperienza; sto leggendo il libro di Malvaldi e ritrovo l'ironia dissacrante che è una delle sue cifre. L'idea è di raccontare vite che sono grandi avventure. Se da una parte non se ne può più di supereroi Marvel o dell'Uomo Ragno, dall'altra abbiamo a disposizione Leonardo e Michelangelo, allora usiamoli! Il paragone è ingeneroso, ma bisogna essere anche pop. Michelangelo, il campione della cristianità, entra in crisi, fa i conti con i propri demoni e forse viene considerato dalla chiesa romana un eretico: questa storia è una bomba in cristalleria, ho provato a raccontarla, sacrificando qualcosa alla profondità di un saggio ma dall'altra parte, attraverso la drammaturgia, andando a raccontare qualcosa in maniera coinvolgente, qualcosa in cui i lettori possano trovare una dimensione eroica. L'essenza del romanzo è la straordinarietà, a me piace raccontare in grande. Noi abbiamo un po' la sindrome di Pollicino, la piccola storia, la piccola famiglia. No, basta: voglio il grande artista.

MARCO MALVALDI — La grande storia viene fuori dalla piccola. Quando Leonardo o Michelangelo nascono non hanno il marchio di chi saranno da grandi; accade grazie a prove ed errori: è una delle costanti del Rinascimento. Poi, non sono d'accordo sul fatto che non si possa scherzare su personaggi come questi. Con le nostre storie esageriamo in modi diversi: Strukul è fumettistico, io parodistico. La maniera in cui si racconta una storia dà significato a quella storia, senza dimenticare che, secondo me, quando uno scrive un romanzo storico in realtà sta parlando del 2018, del tempo presente. Nelle esagerazioni, nella passionalità, nella voglia di sangue dei personaggi di Strukul o nell'understatement, nell'ironia e nella stupidità di alcuni miei personaggi c'è una visione dei difetti e della cecità di chi vediamo al potere da anni. Non è una novità, lo faceva già Manzoni che parlava di Spagnoli per non nominare gli Austriaci. Se vuoi conoscere la storia come concatenazione di cause ed effetti il romanzo non è il mezzo giusto; usalo se ti vuoi divertire, per farti venire la curiosità... Far ridere o far spaventare: importante è trasmettere emozioni, altrimenti di un personaggio, pur grande, non resta niente.

MATTEO STRUKUL — Un elemento del mio modo di raccontare è il feuilleton, sono dipendente da Dumas e da Salgari. Quando posso schiaccio sul pedale dell'acceleratore nella direzione del romanzo d'avventura: metto Michelangelo in cima a un monte che affronta i lupi o lo faccio parlare come un profeta biblico.

In un Paese come l'Italia dove si legge meno di un libro all'anno e dove si approfondisce ancora meno, quello che scrivete, il ritratto che date di un personaggio, rischia di fissarsi nella memoria del lettore. Sentite questa responsabilità quando vi trovate a scegliere se restare fedeli ai fatti o romanzarli?

MARCO MALVALDI — Quello della correttezza è un problema che non mi pongo assolutamente. Nessun libro ha una scala affidabile-non affidabile. C'è invece un grande continuo che va dall'opera storica serissima alla cavolata più gigantesca, dove i marziani arrivano e insegnano agli Egizi a coltivare i campi. Sta al lettore discernere vero, falso, verosimile e plausibile. Quando qualcuno scrive, immagina dall'altra parte un lettore molto simile a lui, che si diverte con gli stessi argomenti che divertono lui, che ha la capacità di discernimento che ha lui. L'importante non è se un fatto sia vero o no, ma quello che mi dà come impressione. Non c'è scritto sulle regole della comunità europea né altrove che un romanzo storico debba essere qualcosa su cui qualcuno impara la storia! Ritengo che ogni testo che uno legge debba essere integrato con un'operazione attiva. Vale anche per un quotidiano; non si può pensare che sia la versione più completa di quello che succede, altrimenti non esisterebbero altri giornali e ne basterebbe uno solo. Se uno deduce che ciò che accade in un libro è vero partendo dal fatto che i protagonisti sono personaggi realmente esistiti, è lui che ha un problema, non io. Il mio è solo un divertissement, un onesto intrattenimento.

Ma se uno si fa l'idea che Leonardo oltre che architetto, pittore, scultore, inventore eccetera fosse anche un investigatore — come accade nel suo libro — lei un po' di responsabilità ce l'avrebbe. O no?

MARCO MALVALDI — (ride) Ehm... certo, posso due che è successo per causa mia, ma le responsabilità sono a mezzo. Non è solo colpa mia.

MATTEO STRUKUL — Il mio approccio parte dalle fonti, dalle basi storiografiche, nel tentativo poi di attualizzare quello di cui scrivo. Detto questo sento la responsabilità verso il lettore, ma gli riconosco anche un ruolo attivo, come dice Malvaldi; alla fine di ogni romanzo metto una nota che non ha una pretesa di completezza, ma fornisce qualche coordinata, un modo per dire: questo è il «mio» Michelangelo ma per arrivarci mi sono letto, faccio per dire, il carteggio con la poetessa Vittoria Colonna, che mi ha lasciato diversi elementi, alcuni dei quali ho poi messo nella storia.

Facciamo un esempio pratico: Leonardo e Michelangelo si conoscevano, erano rivali e, a quanto pare, si stimavano ma non si soffrivano molto. Da scrittori mettereste in un romanzo una scena in cui, una volta per tutte, i due si prendono a cazzotti?

MARCO MALVALDI — Premesso che la cosa non è implausibile, sarebbe potuta succedere davvero. Di sicuro sarebbe stato Michelangelo a prendere a cazzotti Leonardo e a gonfiarlo come una zampogna. I due litigano in varie occasioni, in una anche platealmente, a Firenze, quando Michelangelo sfotte Leonardo per il cavallo commissionatogli da Ludovico Il Moro. In un'altra Leonardo sminuisce il lavoro di Michelangelo: è molto facile, basta togliere il marmo in eccesso. La scazzottata ce la vedo, ma da scrittore non l'avrei descritta, sarei arrivato fino al momento in cui Michelangelo dà il primo pugno e sarei passato alla scena successiva: Leonardo con una bistecca sotto l'occhio, assistito amorevolmente...

MATTEO STRUKUL — I due si sfidarono nei progetti per la battaglia di Cascina, da una parte, e quella di Anghiari dall'altra (per il Salone dei Cinquecento a Firenze, ndr); si dice che Michelangelo avesse visto il cartone di Leonardo e fosse andato via di testa, voleva fare di meglio. La rivalità era formidabile, i caratteri molto diversi. Dello scontro tra i due racconterei proprio quello che sta in mezzo tra II primo cazzotto e la bistecca.

Come si interpretano Michelangelo o Leonardo: ci si immedesima nel personaggio come farebbe un attore o ci si prende la libertà di reinventarlo secondo la necessità del racconto?

MARCO MALVALDI — Di sicuro non ho usato il metodo Stanislavskij, di introspezione psicologica, per calarmi nel personaggio. Certo per far dire delle cose a Leonardo in un romanzo c'è voluta una certa faccia di bronzo. Devi arrogarti il diritto di farlo e te ne prendi il rischio; la cosa migliore è partire da parole che Leonardo diceva veramente e metterle in un contesto nel quale avrebbe potuto dirle. Leonardo ha detto: «Se tu sarai solo sarai sempre tuo»; l'ho usato, è un appunto a margine di un manoscritto. Abbiamo preso entrambi personaggi che hanno lasciato scritti, ufficiali e non ufficiali. Alla fine il mio metodo è stato: prendi cose dette e mettile in un contesto adeguato o, per Ludovico il Moro, fagli dire cose in accordo con quello che lui pensava. Mi sono state molto utili le lettere degli ambasciatori dell'epoca.

MATTEO STRUKUL — Anche per Michelangelo c'erano testi, lettere a disposizione. Quelle in cui pretende di essere pagato, che gira a suoi familiari, veri dilapidatori dei suoi beni. Passava per un avaro, ma forse era giustamente attento ai denari. Di sicuro era un uomo di grande volontà: quando i suoi aiutanti sbagliano la miscela per l'intonaco della Cappella Sistina, errore che gli fa perdere trenta giornate di lavoro, lui caccia tutti e fa da solo; per lavorare anche di notte inventa un copricapo di cartone con una lampada. Era un pazzo scatenato. Ho scritto questo romanzo con addosso la paura, perché è un personaggio che ti terrorizza. Era un violento, un iracondo, un uomo che interpretava la severità come una forma d'amore. Severità e perfezione che imponeva anche agli altri. L'idea di innestare un linguaggio biblico mi è parsa adatta: Michelangelo mi dava l'impressione di essere un incrocio tra i profeti dell'antichità.

Il lavoro di costruzione dei personaggi è stato alla maniera di Michelangelo o di Leonardo, più di asportazione di materiali come può fare uno scultore con il marmo o di intuizioni e ragionamenti, prove e fallimenti, come conviene a un inventore-ingegnere?

MARCO MALVALDI — Nel mio caso ha somigliato di più al Lego, montare piccoli pezzi in modo che dessero l'idea di un oggetto che può non funzionare come l'originale, ma lo ricorda. E i mattoncini del Lego sono un po' un oggetto leonardesco. Per farmi un'idea del personaggio e dell'epoca sono partito da testi divulgativi, da una biografia di Leonardo, per andare nello specifico. Certi aspetti della nostra storia sono stati bene investigati dagli studiosi inglesi, un po' più distaccati di noi; mi sento troppo orgoglioso di essere discendente di quelli che hanno fatto il Rinascimento, da me non ti puoi aspettare una versione obiettiva dei fatti.

MATTEO STRUKUL — Mi sono ritrovato con una sovrapproduzione di materiali e da lì sono andato a togliere, a limare, a lavorarli. All'inizio non mi stava per niente simpatico Michelangelo, oggi mi viene da tifare per lui: in Leonardo il genio è evidente, Michelangelo ci arriva lavorando sodo giorno per giorno. Poi Leonardo tanti lavori non li ha finiti; l'altro, a costo di morire, li portava a termine. Se Malvaldi parte da qualcosa di scientifico divulgativo e poi si allarga ad altri tipi di testi, io vado a rastremare per selezionare le informazioni raccolte. In entrambi i casi ti ritrovi a un punto d'incontro che è il romanzo storico: entrambi vogliamo scrivere una storia che possa rivolgersi a un ampio pubblico.

Una riflessione su arte e committenza: nel Rinascimento era un vanto lavorare su commissione, oggi il fatto che un editore possa chiedere a uno scrittore un certo tipo di libro rischia di essere visto con sospetto.

MARCO MALVALDI — Come dicevo all'inizio, questo romanzo nasce da una richiesta. Sì, è vero, me lo hanno chiesto; ci sono tanti scrittori ma la proposta l'hanno fatta a me. La committenza è innanzitutto un riconoscimento delle tue capacità, rischia più l'editore che lo scrittore. La committenza è una sfida e un vincolo. Ti dicono: vogliamo che tu scriva qualcosa con protagonista Leonardo da Vinci, non su una mattonella abbandonata in mezzo al nulla. È un personaggio gigantesco e ti ritengono in grado di raccontarlo. E riguardo ai vincoli, la fantasia aiuta a divincolarsi. Non c'è prigione peggiore di un deserto dove sei libero di perderti, n divertimento è usare il vincolo non come un paletto ma come un trampolino o qualcosa da aggirare per fare una bella traiettoria. La commissione inoltre ti toglie dal timore e dall'imbarazzo del foglio bianco.

MATTEO STRUKUL — Sono pienamente d'accordo. È come quando sento dire che è facile scrivere per vendere. Se è così facile allora fallo pure tu, mi viene da rispondere. In Italia non si legge e non si va in libreria, ma se un autore vende sembra sempre un merito da poco. C'è una trama, hai regole da rispettare e personaggi da interpretare: provi a dire la tua, a fare del tuo meglio. Quello che oggi sembra un tipo di narrazione facile, prima non lo era, nessuno ci pensava al romanzo storico. Senza contare che la committenza offre ampi margini: Giulio n chiese a Michelangelo un affresco con i dodici apostoli, lui ha fatto la volta della Cappella Sistina.

Quali altri personaggi, uomini o donne, della storia passata o recente vi piacerebbe raccontare?

MARCO MALVALDI — Galileo Galilei, mio concittadino, mi intriga per la sua umanità, ha fondato la scienza ed è anche un bravo prosatore. Poi mi piacerebbe parlare della matematica tedesca Emma Noether: è l'antitesi del personaggio letterario, brutta, schiva, timida e con grandi problemi di relazione con gli altri.

MATTEO STRUKUL — Vlad Tepes, l'impalatore, che appaga la mia voglia di storie di sangue e passioni, lo racconterò in un fumetto; poi Axel Rose, cantante e musicista dei Guns N Roses: prima era uno che faceva casini, non si presentava ai concerti, ora non riesce più a cantare arrivando alle ottave di prima, ma tiene duro lì sul palco, è diventato quasi sentimentale e tenero.

Fonte: La Lettura 09/12/2018


09/12/2018

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