EMANUELA ORLANDI COME UN ROMANZO SENZA LIETO FINE
Giuseppe Scarpa su la Repubblica Roma
Emanuela Orlandi inghiottita in un buco nero. Finita, suo malgrado, al centro di un gioco erotico a base di droga il cui epilogo, non voluto, è la morte. I protagonisti insospettabili, autori del rapimento, dello stupro e dell'omicidio, sono un pm e un monsignore spesso in Santa Sede. Perciò la ragazza con la fascetta non scompare, il 22 giugno del 1983, a causa del terrorismo islamico in lotta con la Chiesa o per mano dei servizi dell'est Europa che vogliono ricattare il Vaticano o, peggio, per i soldi della mafia prestati allo Ior. Niente di tutto questo. La fine tragica, della figlia quindicenne di un messo pontificio, è più semplice e forse, per questo, è quella più vicina alla realtà: la pista è quella sessuale. "La ragazza del Vaticano. Che fine ha fatto Emanuela?" - edito da Newton Compton editori - nelle librerie da domani, è un romanzo e come tale non pretende di raccontare la verità.
C'è, tuttavia, un però. A scrivere il racconto sono due autori di eccezione. Ormai da tempo scrittori, alle spalle vantano otto libri firmati in coppia, ma fino a poco tempo fa erano il cronista di nera a Roma per Repubblica, Massimo Lugli, e un dirigente della Mobile, Antonello Del Greco, impegnato a coordinare le indagini più delicate sui fatti di sangue. Chi conosce Lugli, distingue subito la sua penna tagliente e brillante. Con Del Greco, perciò, tratteggiano una storia verosimile. Il cronista e lo sbirro conoscono come le loro tasche Roma, le sue strade, i suoi tempi, l'umore mutevole di una città millenaria e quindi la sua criminalità che ne rappresenta il lato oscuro. Nella Capitale, la mala non vive solo dei soldi della droga, delle armi, della prostituzione ma anche delle preziose notizie da impiegare per ricattare i potenti […].
11/01/2024