Circeo. La morte non basta


Quei bravi ragazzi del Circeo, di Massimo Lugli e Antonio Del Greco
Massimo Lugli su Visto

 

 

Il massacro del Circeo è un caso di cronaca nera che non ha uguali nella storia del nostro Paese. Quello che avvenne nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 riassume i furori, gli orrori, le contraddizioni di una società in ebollizione. Erano gli anni degli scontri di piazza, quando molti giovani e giovanissimi, da una parte e dall’altra, iniziavano a passare dalle spranghe alle pistole, gli anni del femminismo nascente e aggressivo e della misoginia ancora imperante, delle grandi speranze e della repressione più brutale. Un’Italia divisa in tre, tra destra, centro e sinistra, smaltiva velocemente i postumi del boom economico e si preparava alle grandi crisi del futuro, prima tra tutti l’esplosione di un terrorismo armato che cominciava a farsi notare con i primi attentati nelle fabbriche del nord. Nelle strade di Roma, sempre più cupe, sempre più insanguinate, la gang dei Marsigliesi, che aveva fatto strage dei vecchi boss capitolini, stava per lasciare il passo all’astro nascente della Banda della Magliana.

 

È in questo clima che si colloca la tragedia di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, due ragazze della Montagnola abbordate davanti a un cinema da un amico di quelli che dovevano diventare i loro aguzzini: Andrea Ghira, Angelo Izzo e Gianni Guido. Vittime e carnefici, due mondi separati. Rosaria e Donatella, una barista, l’altra studentessa, erano ragazze semplici, un po’ all’antica, strettamente sorvegliate dalle famiglie come usava allora, forse un po’ ingenue, assolutamente estranee all’impegno politico e alle manifestazioni che coinvolgevano tante loro coetanee.

 

Andrea, Angelo e Gianni avevano un background totalmente diverso: studenti universitari a tempo perso, tutti di famiglie facoltose, erano militanti di estrema destra recentemente espulsi dal Msi, che affiancavano agli scontri e alle aggressioni alcuni reati di criminalità comune: stupro, rapina, traffico di armi. Profondamente classisti, violenti, maschilisti, con un disprezzo innato verso le donne che emerge da una precedente accusa di stupro e da tutto il loro comportamento in seguito.

 

Le due ragazze vennero agganciate con modi gentili e suadenti e convinte a partecipare a una festa a bordo piscina a Lavinio, una trappola in cui caddero dopo qualche esitazione. Quello che avvenne nelle ore successive è stato già raccontato in parole scritte e immagini filmate, da “La scuola cattolica” alla fiction televisiva: Rosaria e Donatella aggredite, violentate, picchiate, minacciate e, alla fine, massacrate di botte per ucciderle. Rosaria fu strangolata, Donatella si salvò fingendosi morta. Le ragazze furono nascoste nel portabagagli di una “127” e i tre aguzzini, lungo la strada del ritorno, furono così idioti da fermarsi a mangiare una pizza e da attaccare lite con alcuni avventori di sinistra. Nel frattempo, un metronotte sentì i lamenti di Donatella passando accanto all’auto e chiamò i carabinieri. La segnalazione fu captata da un fotografo che, come quasi tutti i suoi colleghi, girava con lo scanner della sala operativa sempre acceso in macchina. Antonio Monteforte si precipitò a via Pola e scattò la foto che divenne l’emblema stesso di quella storia atroce: Donatella nuda e insanguinata che emerge come uno spettro dal bagagliaio dell’utilitaria. La stessa foto che, opportunamente ritoccata anche in segno di rispetto, compare sulla copertina del romanzo che ho scritto con il mio coautore Antonio Del Greco.

 

Subito dopo, Angelo Izzo venne arrestato sul posto e Gianni Guido a casa mentre Andrea Ghira, evidentemente avvisato da qualcuno, riuscì a dileguarsi, scomparve nel nulla e restò nella lista dei super ricercati per trent’anni. Dalla latitanza scrisse ai suoi complici: «Non vedo l’ora di andare in Africa tutti insieme per spaccare il c…a qualche negretta».

 

Il processo fu un baraonda di slogan delle femministe, urla, insulti, minacce, sorrisi sfrontati degli imputati. Tre ergastoli che in seguito divennero trent’anni solo per Guido, dopo il risarcimento della famiglia di Rosaria. Durante al detenzione, Izzo e Guido evasero, furono ripresi, fecero qualche confessione e Izzo tentò di accreditarsi come collaboratore di giustizia. Sulla vicenda calò il silenzio ma era solo l’attesa di un nuovo colpo di scena.

 

Esattamente trent’anni dopo, nel 2005, il destino decise di chiudere i conti. Angelo Izzo, in semilibertà, tornò a uccidere due donne: Maria Carmela Luciano e la figlia quattordicenne Valentina Maiorano. Fu arrestato e condannato a un secondo ergastolo mentre, pochi mesi dopo, il cadavere di Andrea Ghira fu scoperto in una tomba di Melilla, nell’enclave spagnola del Marocco: si era arruolato della Legione Straniera ed era morto di overdose nel settembre del 1994. Il 30 dicembre del 2005 Donatella Colasanti morì di tumore a 47 anni. Gianni Guido, oggi, ha scontato la pena ed è un uomo libero.

 

Per raccontare una storia con tante implicazioni e tante sfaccettature Antonio e io abbiamo scelto la strada della fiction realistica, anche se la definizione può sembrare un ossimoro. Le tappe della storia sono ricostruite con esattezza, i nomi e le date sono volutamente cambiati e, ai protagonisti ispirati dalla realtà ne abbiamo aggiunti molti di pura fantasia, primi tra tutti il funzionario di polizia Fortunato Achei e il cronista di nera Sandro Corsi. Diviso in tre parti, il nostro romanzo descrive i protagonisti collocandoli nella temperie degli anni Settanta, racconta cosa avvenne in quella maledetta notte del 1975 basandosi tu testimonianze e carte processuali e conclude con il secondo, duplice omicidio di Izzo e le indagini che portarono alla scoperta della tomba di Ghira. Come sempre, l’esperienza sul campo di Antonio Del Greco, ex investigatore di punta della Polizia di stato, ci permette di raccontare i veri meccanismi di un’inchiesta investigativa come se li stessimo guardando in diretta, tra intuizioni, delusioni, colpi di scena e entusiasmi che spesso sono destinati a smorzarsi. I rapporti tra sbirri e cronisti, a volte ostili, a volte diffidenti, spesso destinati a trasformarsi in un’autentica amicizia, sono un altro di quelli che consideriamo i punti forti della nostra produzione letteraria. Il giudizio definitivo, quello a cui ci rimettiamo sempre, spetta esclusivamente ai lettori.


23/03/2023

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