Felicia Kingsley: "La mia scuola di scrittura è l'architettura"


Intervista a Felicia Kingsley

Ilaria Zaffino su Repubblica.it


 

I suoi libri hanno venduto oltre 750 mila copie in Italia, a ogni uscita volano in classifica, tuttora ce ne sono 4 tra i tascabili più venduti nell'ultima settimana e il prossimo è in arrivo in libreria tra una manciata di giorni. Seguitissima sui social, su TikTok ha 20 milioni di visualizzazioni, quasi 50 mila i follower su Instagram, si potrebbe dire che non sbaglia un colpo. Lei è Felicia Kingsley, la regina della commedia romantica (perché oltre che romance i suoi libri sono anche molto ironici), classe 1987, modenese, e come lavoro fa l'architetto. Sì perché è italianissima a dispetto del nome: infatti è uno pseudonimo. "Felicia è un nome molto simile al mio", ci confessa quando l'abbiamo raggiunta al telefono alla vigilia dell'uscita di Ti aspetto a Central Park (pubblicato come i precedenti romanzi con  Newton  Compton ), "diciamo che è un concetto, la felicità, che torna in entrambi i nomi. Kingsley invece è il cognome che usavo quando da giovanissima - ero al liceo - scrivevo fanfiction sul web e per affetto l'ho tenuto. Quando nel 2016 ho autopubblicato il mio primo romanzo, Matrimonio di convenienza, ero fresca di abilitazione, appena iscritta all'ordine degli architetti e non avevo idea se ci potesse essere qualche conflitto deontologico. Per questo ho usato uno pseudonimo. Mai avrei pensato che un giorno qualcuno potesse pronunciare il nome Felicia Kingsley a parte me". 

E invece eccoci qui. Ma qual è il suo segreto?

"Fin dalla mia prima pubblicazione ho potuto contare su un grosso sostegno del web: all'epoca erano molto attivi i blog e chi ha letto e recensito Matrimonio di convenienza è stato molto positivo verso di me che ero un'esordiente, sconosciuta totale. Questo ha dato il via a un bel passaparola che ha aiutato il libro a salire nelle classifiche, cosa che gli editori guardano. Da lì mi ha contattato  Newton  Compton , che ha ripubblicato il romanzo l'anno seguente ed eccoci qui". 

Dal 2016 ha scritto 9 romanzi e due novelle brevi, eppure lei di lavoro fa l'architetto: come trova il tempo per scrivere? Quando scrive? Quante ore al giorno?

"Le due cose convivono. Non sono costante nella scrittura, non scrivo duemila parole al giorno, fatico a rispettare le scadenze. E come architetto sono libero professionista quindi ho modo di gestirmi, non ho orari di ufficio. È tutto un gioco di incastri. Mentirei se dicessi che le due attività vanno avanti di pari passo al cinquanta per cento: con il tempo, in maniera graduale ho dato sicuramente più spazio alla scrittura, però non ho intenzione di chiudere le porte che l'architettura mi apre. Mi è capitato anche di essere chiamata nelle scuole per delle supplenze e il mondo dell'insegnamento mi piace molto, mi ha sempre affascinato. E poi non sono una persona che chiude le porte nella vita, in generale". 

Matrimonio di convenienza ( Newton  Compton ), romanzo di esordio di Felicia Kingsley nel 2016, è stato il secondo libro più letto in ebook nell'anno di uscita  

I suoi romanzi rientrano nella categoria romance o anche chick lit: è d'accordo? O le vanno strette queste etichette?

"Non ho problemi con le etichette, semmai con le persone che giudicano le etichette. Io sono orgogliosa di scrivere romance, di scrivere d'amore. È stato Dante a dire 'l'amor che move il sole e l'altre stelle', l'amore è una cosa importante nella vita di tutti, è una materia complessa tanto che si va in terapia per cercare di risolvere i problemi relazionali con il partner. Ho problemi con chi lo sottovaluta, con chi mi dice: 'scrivi solo d'amore?'. Ebbene sì. Le etichette mi stanno bene, non mi sta bene chi le sminuisce". 

È stata paragonata a Nora Ephron e Sophie Kinsella: lei a chi si sente più vicina?

 "Mi sento molto affine a Marcel Duchamp nell'approccio, nel suo caso all'arte, nel mio alla scrittura: non ispirarsi ad altri artisti dello stesso campo, altrimenti si finisce per fare copie mediocri del lavoro di qualcun altro. Lui si ispirava ai filosofi, alla letteratura, alla musica. Pur avendo degli autori che apprezzo come lettrice, non sono quelli che vado a sfruttare come modelli quando scrivo. Le mie scuole di scrittura sono state tre, del tutto anomale se vogliamo: dapprima le Barbie, perché non mi limitavo a vestirle e pettinarle ma inventavo proprio delle storie, per me erano dei personaggi. Subito dopo c'è stata mtv: i video che una volta trasmettevano erano delle ministorie di tre minuti con cui sintetizzare il significato della canzone. Ho interiorizzato l'idea che la storia è una canzone e non a caso oggi le idee per i miei libri mi arrivano sempre quando sto ascoltando musica. Terza e ultima l'architettura, è la nostra storia, ci dice tantissimo: da dove siamo arrivati, cosa facciamo, dove vogliamo andare. Pensiamo a Pompei, solo guardando la città riusciamo a capire come vivevano allora, cosa facevano, quali erano le storie delle persone che erano lì. A me ha dato tantissimo, in termini sia di storytelling sia come strumenti di costruzione della storia. Non sono una che improvvisa, ho bisogno di progettare prima, come avviene per un edificio. Scrivo quando ho tutta la mia storyline ben chiara. Anche Ken Follett è uno che riempie cartelle di storyline, quindi se c'è un modello per me è lui. E sì, conosco Sophie Kinsella, è stata una delle primi autrici che ho approcciato quando sono passata dalla letteratura per ragazzi a quella per adulti".

E poi c'è Jane Austen: un faro a cui si ispira? Da poco tra l'altro è uscito il suo retelling di "Orgoglio e pregiudizio".

"Jane Austen è la zia di tutti quelli che scrivono romance, anche se non è stata la prima a scrivere storie d'amore e di riscatto femminile: prima c'era stato Samuel Richardson con Pamela. Però la penna di una donna ha una delicatezza diversa per tratteggiare certe cose". 

Non è un paese per single è il retelling di Orgoglio e pregiudizio con cui Felica Kingsley rende omaggio a Jane Austen: ne sono stati comprati i diritti per farne un film dal gruppo Lucisano  

I suoi romanzi sono anche molto ironici, pieni di dialoghi brillanti che li rendono perfetti per lo schermo. Proprio del retelling di Jane Austen sono stati comprati i diritti dal gruppo Lucisano: l'hanno coinvolta per la sceneggiatura? Cosa si aspetta dalla trasposizione cinematografica?

"Non ancora, siamo all'inizio, la cessione dei diritti è molto recente, non so se e quanto la produzione vorrà coinvolgermi. Naturalmente io sono disponibile". 

Londra, New York, la California: le sue eroine si muovono in scenari internazionali, spesso in queste grandi metropoli. Sono posti in cui anche lei ha vissuto? 

"Nei miei romanzi c'è una quantità tale di casi e coincidenze che, per superare la sospensione dell'incredulità, necessitano di un contenitore adeguato. Devo aiutare il lettore a credere alle storie che gli racconto. Così certi eventi, certi incontri sono più plausibili se avvengono a New York piuttosto che a Fossoli. In Due cuori in affitto lo scrittore protagonista, Blake Avery, che è largamente ispirato a Dan Brown per il suo successo e peso nel mondo dell'editoria, non lo incontri certo a Bagni di Romagna. Non posso compromettere quel che ti sto raccontando, che è pura fiction, inserendolo in qualcosa che potresti ritenere non verosimile. Non ti devo raccontare la realtà è vero, però devi trovare verosimile quel che ti dico. Perciò alcune di queste città le conosco personalmente, in altre non ci sono mai stata, ma mi sono avvalsa della consulenza di persone che ci vivono".

Alla fine di ogni libro troviamo la playlist con le canzoni da ascoltare: come le è venuta in mente? 

"Sono le canzoni che ho ascoltato realmente mentre scrivevo quel libro, mentre mi veniva l'idea. Io nasco dal web, le prime persone che si sono avvicinate ai miei libri venivano da lì e internet scavalca quelle che sono le mura dell'ufficio dello scrittore, è come lasciare la porta aperta, con i muri trasparenti. Intorno al libro si sviluppa una curiosità che non è solo tecnica, i lettori si appassionano anche agli step che tu attraversi nelle fasi di scrittura". 

E lei con i lettori ha un rapporto molto stretto: quasi 50 mila follower su Instagram, 20 milioni di visualizzazioni su TikTok.

"È molto impegnativo. All'inizio, quando  Newton  Comptonha ripubblicato il mio Matrimonio di convenienza non avevo niente, solo un account Facebook mal gestito, trascurato. Poi ho visto che era lì, sul web, che mi cercavano. Allora mi sono messa a capire come funzionano i social, non senza fatica. Instagram è il mezzo fondamentale per arrivare ai lettori, avere un feedback istantaneo. Su TikTok invece ho iniziato un anno fa a postare video dove parlo dei libri: non solo dei miei, non mi piace essere troppo autoreferenziale, ma anche di quelli che ho letto e di editoria in generale". 

A proposito di editoria: è un contesto che compare nei suoi libri. In quest'ultimo i due protagonisti sono due importanti editor, in "Due cuori in affitto" ci sono uno scrittore e una sceneggiatrice. È un mondo che ricorre... 

"In questi due casi in particolare è vero, ma cerco di libro in libro di cambiare sempre contesto. Mi piace esplorare anche il mondo dell'arte e della storia, per esempio". 

Due cuori in affitto è il libro più venduto di Felicia Kingsley, tuttora ai vertici della classifica dei tascabili  

In questo nuovo romanzo ritorna con un ruolo minore una vecchia conoscenza: lo scrittore Blake Avery. Ci sono o ci saranno altri rimandi tra un libro e l'altro?

"È un gioco che mi piace inserire, questi piccoli collegamenti tra un libro e l'altro sono mini-invasivi, non serve aver letto gli altri libri per comprendere quello che viene dopo. E chi ha letto invece i precedenti è contento di ritrovare personaggi a cui magari si era affezionato. Al lettore di lungo corso questo piace. E a me piace pensare che i miei personaggi vivano in un loro metaverso in cui si conoscono (sorride, ndr)". 

E quanto c'è di autobiografico in questi personaggi?

"Ci sono briciole di autobiografia, non voglio cadere nell'errore di costruire un personaggio a mia immagine e somiglianza. Per esempio in Blake Avery c'è l'assoluta incostanza, il non riuscire a rispettare le scadenze. Con un'altra protagonista, Allegra, condivido l'abitudine di prendere sempre dalla scatola prima i biscotti rotti e anche io faccio fatica a dire no quando mi si propone qualcosa che non voglio fare. Infine con Knight, il protagonista di quest'ultimo libro, ho dei tratti che mi accomunano come pure dei difetti: tanta determinazione ma come lui a volte devo rimodulare l'arroganza, il voler avere sempre ragione". 

Un'ultima domanda: ha ancora senso nel romanzo rosa parlare di lieto fine che coincide con il matrimonio? E quanto il MeToo ha cambiato in questi anni le protagoniste dei romanzi rosa? Le sue?

"Come faccio dire ai protagonisti in questo libro, il lieto fine c'è in quasi tutta la narrativa, non solo nel romanzo rosa. È lieto fine quando catturi l'assassino nel crime, quando il bene vince sul male nel fantasy, è chiaro che nel romance coincide con l'innamoramento. Più che un lieto fine potremmo dire che è un lieto inizio con cui si chiude il romanzo. Coincide con il matrimonio? Non in tutti i miei libri, nella maggior parte forse perché nella fiction mettiamo un punto a differenza della vita reale. Non voglio lasciare chi legge impiccato sul ciglio del burrone, ovvio che sappiamo che i matrimoni finiscono esattamente come tanti assassini escono di galera per buona condotta e poi si comportano di nuovo allo stesso modo. Nei libri salutiamo il lettore all'ultima pagina cercando di lasciarlo con una certezza. Non viviamo in un mondo di frutta candita, le lettrici non sono così ingenue da pensare che anche nella realtà sia così. Tutta la fiction propina modelli irraggiungibili, non solo il rosa. Il lettore è abbastanza bravo da sapere che è finzione. Il MeToo non c'entra, è la vita che ti sveglia, il MeToo ha messo in luce gli abusi dietro agli squilibri di potere. Lo vedo anche nel mio lavoro di architetto: un collega uomo viene trattato come fosse Renzo Piano, a me chiedono se mi occupo di interni! Anche senza MeToo siamo tutti d'accordo che gli squilibri di potere non ci devono essere e vanno combattuti. Quello che serve è un grosso cambiamento culturale, per esempio iniziare a parlare di genitorialità, non più di maternità: eppure nella chat dell'asilo di mio figlio siamo tutte mamme, ci fosse un papà...". 


30/09/2022

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