ALLA SCOPERTA DELL'IMMAGINARIO DEI VIAGGIATORI MEDIEVALI, FUORI E DENTO I LIBRI


È da queste storie intessute di audacia, di spregiudicatezza, di fallimenti e di avidità che nasce il regno dell’immaginario cui attingiamo tuttora quando pensiamo alle terre del favoloso effimero. Un immaginario proteso verso l’imperscrutabile, a metà strada tra Le mille e una notte e la cerca del Graal, tra le avventure di Sindbàd e la leggenda di Merlino”

Su ilLibraio.it, in occasione dell’uscita de “La profezia delle pagine perdute”, l’atteso seguito della saga su Ignazio da Toledo, l’affascinante excursus di Marcello Simoni, dedicato ai viaggi reali e immaginariiniziati nel Medioevo e mai più dimenticati…

 

Dicono che l’abbia fatto a causa di una delusione amorosa. Nell’anno del Signore 1614, il nobile romano Pietro della Valle salpò da Venezia per intraprendere un lungo viaggio che lo portò al Cairo, poi a Babilonia e, passando per Baghdad, fino alle rovine di Persepoli. Furono dodici anni di avventure, di incontri sorprendenti e di esplorazioni archeologiche ante litteram, vissuti sullo scorcio di un’epoca che stava per cambiare. L’uomo, ormai, si sentiva padrone del mondo, ma non ancora dell’immaginario che, come l’instancabile pennino di un miniaturista, continuava a tratteggiare leggende di mostri, di tesori e di popoli misteriosi in attesa di essere scoperti.

Il Medioevo, in altre parole, non era ancora tramontato. O, per lo meno, continuava a sopravvivere negli interstizi di una forma mentis determinata cercare meraviglie in ogni spiaggia, isola e caverna lambita dal Mar di Levante.

Si sa bene, infatti, quanto il genere umano abbia lavorato di fantasia durante i cosiddetti Secoli Bui, sia nella penombra degli scrittoi che davanti alle opere di pittori e di scalpellini. Ma di certo non dobbiamo aspettare l’età moderna, con il Pietro della Valle “scopritore” delle mummie, per ammirare il coraggio di viaggiatori disposti ad affrontare le tempeste marine e i venti del deserto pur di visitare parti del mondo soltanto vagheggiate dai loro simili, colti o incolti che fossero.

Come fece Ignazio da Toledo, il mercante di reliquie che nel corso del Duecento viaggiò in lungo e in largo tra la Spagna e le coste orientali del Mar Rosso, in una serie di romanzi che potrebbero essere realtà.

Già nel XII secolo, infatti, mentre la Genizah del Cairo raccoglieva i resoconti delle peregrinazioni degli ebrei sefarditi tra cui il celebre Mosè Maimonide, il poeta arabo-andaluso Ibn Jubayr raggiungeva l’Egitto passando da Palermo e, imbarcatosi all’emporio di Aydhab, continuava per la Mecca, Medina, Baghdad, Mosul, Aleppo e Damasco. Cent’anni dopo, il frate fiammingo Guglielmo di Rubruck si avventurava addirittura in Mongolia per incontrare il Khan dell’Orda d’Oro... proprio mentre Marco Polo vedeva la luce nella contrada veneziana di San Giovanni Grisostomo!

Come usava affermare Jacques Le Goff, l’uomo dell’età feudale era assai più “mobile” di quanto si sia disposti ad ammettere. Insegnamento, questo, di cui sembra aver fatto tesoro Michael Crichton quando, nel suo falso storico I mangiatori di morte, ha ricamato sulle peregrinazioni dello scrittore persiano Ahmad ibn Fadlan, facendolo imbarcare prima dell’anno Mille su una nave di vichinghi diretta in Danimarca, per renderlo testimone di un’impresa eroica degna di Beowulf.

Del resto, molto più simili a Ignazio da Toledo dovettero essere i mercanti europei giunti agli scali del Mediterraneo orientale tra il 1096 e il 1291, in seguito al sorgere dei nuovi regni cristiani della Terrasanta, o i pellegrini diretti alle mete sacre della Palestina e dell’Egitto. Mentre Costantinopoli veniva spogliata delle sue ricchezze e delle sue reliquie (1204), i porti crociati gravitanti intorno a San Giovanni d’Acri attiravano genovesi, pisani e veneziani bramosi d’inserirsi nei circuiti commerciali collegati alle carovaniere che portavano alle città dell’Arabia.

È da queste storie intessute di audacia, di spregiudicatezza, di fallimenti e di avidità che nasce il regno dell’immaginario cui attingiamo tuttora quando pensiamo alle terre del favoloso effimero. Un immaginario proteso verso l’imperscrutabile, a metà strada tra Le mille e una notte e la cerca del Graal, tra le avventure di Sindbàd e la leggenda di Merlino. Un mondo in cui l’esotico e l’erudizione si sovrappongono, contaminandosi l’un l’altra, come trapela dai racconti di Marco Polo coloriti dall’inventiva di Rustichello da Pisa, dai prodigi descritti dal geografo svedese Olao Magno e persino dalle narrazioni sui pescatori di perle del Malabar, che già suscitavano stupore nelle piazze di Firenze ai tempi di Cosimo de’ Medici. Nel frattempo, mentre negli scriptoria monastici e negli studia universitari si discuteva sull’esistenza del regno del Prete Gianni o sull’ubicazione del paradiso terrestre, i ginn si confondevano con i demoni occidentali e con gli spiriti intrappolati nelle lampade magiche di re Salomone.

In definitiva, il regno dell’immaginario resterà sempre l’ultima frontiera. E sempre resterà, che si vaghi a dorso di cammello nel più torrido dei deserti, in uno scafandro da palombaro sul fondale dell’oceano o in una tuta da astronauta nel buio siderale, sempre resterà il richiamo più irresistibile, la promessa di sirena capace di spingerci oltre quel che vedono i nostri occhi.

Rendendoci fratelli dei mercanti del prezioso olibano che, seguendo strade più antiche dell’invenzione della scrittura, risalivano le terre perdute del Dufar, toccavano Yathrib (Medina), Petra e Damasco per raggiungere Gaza... o le coste occidentali del Mar Rosso. Portando ovunque, insieme alle loro merci, la leggenda di Bilqis, Regina di Saba, che infiammò di desiderio il saggio re Salomone e divenne sovrana – così si tramanda – delle genti d’Etiopia.

 


30/06/2021

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