Volete scrivere lettere d'amore? Non copiate da Salinger


di Antonio D'Orrico

CAROL MARCUS ERA UNA DIVINA mondana della New York fine anni Trenta e dintorni, che avrebbe ispirato a Truman Capote il delizioso personaggio di Holly Golightly, la protagonista di Colazione da Tiffany, interpretata al cinema da Audrey Hepburn. Carol era fidanzata con lo scrittore William Saroyan. I due meditavano di sposarsi, ma ci fu l'attacco a Pearl Harbor (7 dicembre 1941), lui partì per la guerra contro il Giappone e cominciò a sommergere la fidanzata di lettere dal fronte. Tra i tanti suoi pregi, Carol non aveva l'arte di scrivere e temeva che il fidanzato, davanti alla pochezza della sua corrispondenza, si disamorasse di lei. Tra le amiche di Carol, c'era Oona O'Neill, la bellissima figlia del drammaturgo Eugene, all'epoca una specie di Shakespeare della Grande Mela. Neppure Oona era una grande scrittrice (e non era una cima in assoluto), però era corteggiata da uno che sarebbe diventato il più grande (o uno dei due più grandi, posso al massimo concedere) scrittore americano del Novecento. Era J.D. Salinger e si trovava sotto le armi anche lui. Innamorato pazzo di Oona, il futuro autore del Giovane Holden le spediva bellissime lettere d'amore lunghe quindici facciate. Trattando Salinger come una specie di Cyrano de Bergerac in contumacia, Oona permise a Carol di attingere a piene mani dalla prosa scintillante del suo pretendente per scrivere le lettere di risposta al fidanzato. Sembrava un piano infallibile. Eppure non funzionò. Saroyan rispose a Carol che non era più tanto sicuro di sposarla: le sue lettere erano troppo banali. Solo un salingeriano (il più salingeriano di tutti oggi sul pianeta, sospetta il New York Times) come Kenneth Slawenski poteva scrivere una biografia così (Salinger. La vera storia di un genio): appassionante, circostanziata, devota, piena di tutte le cose dolorose, spesso spaventevoli che segnarono la vita dello scrittore (lo sbarco in Normandia con il massacro dei commilitoni; l'esplorazione in anteprima assoluta dei campi di sterminio hitleriani; lo shock conseguente sul resto dei suoi giorni e sulla sua visione dell'universo), ma piena anche delle cose più leggere e incantate (come la storia delle lettere a Saroyan), che ricordano l'umorismo lieve e ammaliante dei racconti salingeriani. Se c'è stato (e c'è stato: dalla sua fuga da New York nell'eremo di Cornish alla scelta di non pubblicare più dopo il successo mondiale, che ancora dura, dei suoi libri) un mistero Salinger, un mistero esistenziale, letterario e psicologico, questa biografia fornisce tutti gli elementi per scioglierlo. Slawenski ha ricostruito ogni dettaglio, consultato registri, spulciato archivi, incrociato dati. E ha fatto di più: ci ha regalato racconti introvabili, inediti (perché bocciati dalle riviste!), li ha riesumati e riassunti (ha perfino scovato l'unico racconto horror dello scrittore).

Salinger. La vera storia di un genio è il volume che completa gli altri libri dell'autore e rende meno lancinante la mancanza che ancora sentiamo di lui e di quello che scrisse e non pubblicò (ogni tanto qualcuno promette l'uscita di sue nuove opere, ma finora sono state promesse da marinaio). Nessuno scrittore del Novecento (e forse di sempre) è stato amato come Salinger. Nessuno ha cambiato la sensibilità dei suoi lettori quanto lui (Proust?). Le ribellioni della seconda parte del secolo scorso nacquero dal suo capolavoro: con Holden fece scoprire al mondo com'è bella e disperata la giovinezza, e il suo diritto a essere entrambe le cose.

Fonte: Sette 28/02/2019


28/02/2019

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