UN MAGREBINO DAL SORRISO AMBIGUO MI HA "PRESENTATO" SUFRAH, PIRATA DEL DESERTO


MARCELLO SIMONI

UN MAGREBINO DAL SORRISO AMBIGUO MI HA "PRESENTATO" SUFRAH, PIRATA DEL DESERTO

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8 luglio 2023


Il profanatore di Marcello Simoni è capace di dominare menti umane e spiriti maligni Accanto a lui c'è Alif, ladro con cui cercare tesori fra dune egiziane e rovine maledette

La storia di Aladino racconta per errore che il mago africano fu avvelenato nel suo palazzo e che il suo corpo annerito e screpolato dalla forza della droga fu gettato ai cani e ai gatti ma il Moghrabi Sufrah (perché tale era il nome del mago) si addormentò soltanto per effetto del potente narcotico». È questo il passo in cui l'ho incontrato per la prima volta. L'incipit di un racconto delle Vite immaginarie di Marcel Schwob (Adelphi, 1972). Un falso storico, o forse un vero fiabesco, che intreccia le turqueries di Antoine Galland con la leggenda del re Salomone e la tradizione esoterica dell'ilm al-raml, pratica divinatoria di origine araba che, in pieno Medioevo - galeotto uno scritto del prete spagnolo Ugo da Santalla - prese il nome latino di arsgeomantiae.

Non era presente ancora in me, in quel momento, la trama di un romanzo. Solo la fascinazione per quel nome, Sufrah, che ben presto ha preso forma nella mia mente dando origine a un magrebino allampanato, dall'espressione indecifrabile, avvolto in un turbante nero e in un mantello dello stesso colore. Un Ignazio da Toledo in negativo, oserei dire, nel quale confluiscono l'astuzia di Sindbad il marinaio e l'ambiguità di Long John Silver. Anche se, a differenza di questi personaggi, Sufrah non è un uomo di mare, bensì un viaggiatore del deserto. Un cacciatore di tesori, per la precisione. Un ramingo avvezzo a spostarsi da Baghdad al Cairo, attraverso i pericolosi itinerari della Siria e del regno di Gerusalemme. Gli stessi itinerari battuti dai cavalieri crociati di Federico II e della setta degli assassini devota al leggendario Veglio della Montagna.

Così, un po'per volta, ho visto crescere il mio Sufrah. Un personaggio nuovo, ormai lontano dall'immaginario di Schwob e dalle Mille e una notte, simile a un golem che si scrolla di dosso la crosta di argilla che gli ha fatto da crisalide, per assumere consistenza e credibilità storica. Perché se Ugo da Santalla testimonia che i geomanti sono davvero esistiti, altrettanto può dirsi per i cacciatori di tesori che secoli prima di Howard Carter e di Lord Camarvon violarono il silenzio del deserto egiziano in cerca delle tombe degli antichi re.

Prova ne dà il filologo arabo 'Umar Ibn al-Wardi, intento a compilare verso la metà del XV secolo un libro intitolato Prodigi e Meraviglie, secondo il quale «nella terra d'Egitto si trovano grandi ricchezze» e «nella maggior parte del suo territorio vi sono tesori sepolti». Una convinzione talmente radicata a quei tempi che, tre secoli prima, il sultano fatimide Al-Mustansir bi-llàh nominò un emiro incaricato di fungere da supervisore dei «tombaroli» che operavano nei dintorni del Cairo e lungo il corso del Nilo. Tempi in cui dell'enorme Sfinge, dalla sabbia di Giza, emergeva soltanto la testa.

Più si delineava nella mia mente il personaggio di Sufrah, più tuttavia mi rendevo conto che questo ombroso geomante non poteva essere emerso dalle brume della mia fantasia per andare in cerca di un semplice tesoro. Avvezzo all'uso dell'astrolabio, domatore di jinn e conoscitore della lingua segreta dei sufi, egli doveva anelare a qualcosa di più. A un trofeo remoto e misterioso. Una città perduta legata a un'antica maledizione. Un'isola di pietra nascosta nel mare di fuoco del deserto.

Guidato da queste suggestioni, mi sono quindi ritrovato a sfogliare, senza quasi rendermene conto, una delle più preziose testimonianze scritte lasciate dai cacciatori di tesori musulmani che, attraversando come ombre la lunga stagione delle crociate, perlustrarono a dorso di cammello le sconfinate distese di pietra e di sabbia comprese tra il Mar Rosso e il Magreb. Alludo al Kitab ab-kanuz, U libro delle perle segrete. Una guida tardomedievale che delinea una sontuosa topografia dell'impossibile, descrivendo oasi dai rigogliosi palmizi e tombe sepolte tra le dune, grandiosi templi rimasti inviolati da secoli, aule sotterranee colme di gioielli e talismani magici sorvegliati da spiriti guardiani.

Sfogliando quel libro, ho compreso come dovettero sentirsi Stevenson mentre tratteggiava la mappa dell'Isola del tesoro e Verne mentre esplorava i fondali oceanici a bordo del Nautilus. Plasmare meraviglie. Non ci sono altre parole per definire quello che credo sia il mestiere più bello del mondo. Creare luoghi irraggiungibili usando le parole come unici mattoni, e nondimeno renderli verosimili al punto da farli quasi sembrare mete reali. Mete in cui l'avventura si veste di leggenda, e la leggenda di simbolo, così che persino la più ardita falsificazione storica possa regalare al lettore un briciolo di verità e di riflessione.

Chiuso II libro delle perle segrete, sapevo esattamente dove condurre il mio Sufrah. E sapevo pure che da solo, il mio geomante magrebino, non ce l'avrebbe mai fatta. Ha bisogno di un degno compagno di peripezie, mi sono detto. Di un John Watson, un Jean Passepartout, uno Yanez de Gomera che lo difenda dai mille pericoli del deserto e da sé stesso!

Così è nato Alif. Un nome che è poco più di un suono, la prima lettera dell'alfabeto arabo. Un po' per rendere omaggio all’Aleph di Borges. Un po' perché quella magica vocale dà l'idea di una chiave universale. Una chiave d'argento vivo, o di mercurio, capace di scivolare dentro qualsiasi serratura, sia essa di pietra, di ottone o della materia effimera dell’animo umano.

Del resto, Alif è un ladro. Anzi, un ladruncolo. Un giovane tagliaborse di Baghdad che Sufrah ha salvato da un pozzo. Un pozzo non molto diverso da quello in cui, si racconta, il geniale Francois Villon, sublime poeta, farabutto, donnaiolo e coquillard, concepì la Ballata degli impiccati nel cuore della Parigi del XV secolo. Ma questa è un'altra storia.

Sufrah e Alif hanno assai più da spartire con Ali Baba e con Antar il Beduino. O forse con qualche faccia da gaglioffo che s'incontra nelle pellicole girate tra gli anni Venti e Sessanta, ispirate alle Mille e una notte. Del resto, che si tratti di mare o di deserto, sempre di pirati stiamo parlando. E nulla di più umano, nel bene e nel male, c'è del sorriso indecifrabile di un pirata.

 


08/07/2023

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