Tim Willocks "Lo straniero è un'allegoria della vita. La giustizia oggi è un lusso"


di Fulvio Paloscia

Dal Cinquecento del guerriero sassone Mattias Tannhauser, protagonista di una saga thriller amatissima, a una storia noir nel Sudafrica di oggi. La macchina del tempo dello scrittore Tim Willocks mette la quinta per imboccare di nuovo la strada del presente, quella dei "gialli blues" degli esordi: a bordo, c'è il detective Turner che indaga sull'investimento di una ragazza di strada. Colpevole il Figlio di Margot, la donna più ricca e potente di Città del Capo, che farà di tutto per tenere l'erede fuori da ogni colpa. Suo malgrado. Un caso complicato per l'ispettore Turner, edito da Newton Compton e che lo "Stephen King inglese" presenta oggi e domani alle 20 alla libreria Mucho Mojo (v. Aretina 40/a), racconta le imprese di un implacabile tutore della legge per ristabilire il giusto ordine. 

Un ritorno ai tempi moderni. 
«Avevo in mente un western ma nessuno legge più quel tipo di romanzo. Il remoto deserto sudafricano mi ha offerto la possibilità di scrivere una versione moderna del mito dello straniero, come allegoria politica del valore economico, sociale e non morale della vita: la giustizia non è più diritto, ma lusso». 

Stavolta è una donna il cattivo della situazione. 
«Margot non è così diabolica, anzi, è persuasiva nel rivendicare le sue ragioni, mentre Turner pare nel torto quando rifiuta il compromesso. Lei fa di tutto per proteggere suo figlio, seppure nella visione corrotta del mondo. È la protagonista di una tragedia che ha radici nel passato di donna priva di aiuto. Una volta costruito l'impero, la determinazione la mette in guardia dal non tornare allo stato di vittima. Ma sarà proprio quella determinazione a portarla alla catastrofe».

E il detective Turner?
«È il classico eroe western, l'uomo solitario arrivato in città per fare giustizia, cascasse il mondo. L'ho creato partendo dai dialoghi e dell'azione più che dall'introspezione, ispirandomi a Clint Eastwood nei film di Leone. Come Margot, vuole raggiungere il suo obiettivo costi quel che costi. Lo scontro fra due volontà di ferro è il cuore della storia». 

L'Europa fa da sfondo alla saga di Tannhauser. Il Sudafrica a Turner. Cosa non la ispira dell'Inghilterra? 
«Mi piace raccontare storie epiche e ultradrammatiche con personaggi mitici, e questo non si adatta al paesaggio sociale inglese, troppo educato e sottomesso. L'inglese spesso deve lasciare la propria terra per trovare l'avventura». 

Cosa c'è in comune tra i suoi eroi del Cinquecento e quelli contemporanei? 
«Il fatto che in tutte e due l'epoche devono sopravvivere a orribili pericoli contando solo sulle loro forze. Non si fanno illusioni sul mondo, camminano a testa alta. Talvolta si sentono in trappola, ma niente può distruggerli. Non cercano guai, ma quando questi arrivano, sono implacabili». 

È più difficile scrivere romanzi sul passato o sul presente? «L'ambientazione storica richiede molte ricerche e offre sfide stilistiche, soprattutto nei dialoghi. Le descrizioni fisiche devono essere più accurate per farci sentire i personaggi vivi accanto a noi. Ma la vera missione tosta, in qualunque epoca si svolga il romanzo, è trovare la storia che mi ispiri».

Il suo Cinquecento è allegoria del presente?
«Howard Fast, l'autore di Spartacus, disse che chi scrive romanzi storici racconta sempre i suoi tempi, ne sia cosciente oppure no. Penso avesse ragione. Non creo volontariamente paralleli che, però, di fatto, esistono, soprattutto rispetto alla relazione tra l'uomo comune e i poteri forti. Viviamo in un'epoca di leadership atrocemente povere. Si potrebbe controbattere "e quando mai non è stato così?", ma questo momento è particolarmente buio ovunque. La distanza tra il popolo e chi governa, l'avidità, l'ipocrisia, la straordinaria falsità del potere sono allarmanti proprio come nel Cinquecento».

Anche in Italia, dove lei vive.
«Questo Paese, però, mi sorprende, e non solo per il paesaggio. Certo, da straniero non sono a conoscenza di tutti i problemi politici o sociali, ma è pur vero che gli italiani sono molto critici nei loro confronti, non cadono nell'errore - commesso da Regno Unito e Stati Uniti - del falso autoritratto mitologico. Un'illusione che li sta riducendo in pezzi, mentre l'Italia - le cui catastrofi politiche non sembrano peggiori di altrove - ha gli anticorpi per resistere».

Cos'è il noir per lei?
«Uno stato d'animo, un senso del fatalismo, del destino alimentato da personaggi che, proprio come noi, lottano per fuggire dalle maglie della sorte in cui sono intrappolati. Nel noir c'è la consapevolezza che non siamo così buoni, folti, salvi come vorremmo essere, e le cose potrebbero non andare a finire bene. Nella verità di quel buio, c'è qualcosa di profondamente umano che in qualche modo ci conforta. Il noir perdona i nostri fallimenti perché li accoglie come simbolo dell'umanità».  

Fonte: la Repubblica Firenze 21/11/2018


21/11/2018

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