Se un romanzo «di genere» tocca il cuore della Chiesa


II libro di Fabio Delizzos è molto più di un giallo storico
Al centro c'è la contrapposizione fra Pietro e Paolo


Roma, 1564: qualcuno vuole destituire Papa Pio IV

di Davide Brullo 

Il cristianesimo non è ciò che sembra. Da Gerusalemme al «Cupolone», dal Calvario al Vaticano la via, si sa, è tormentata di eresie e di apocrifi che fanno del cristianesimo, sfottendo Pirandello, uno, nessuno, centomila. Tra i centomila cristianesimi, diffusi nei primi secoli dopo la morte di Gesù, alcuni sono moti rivoluzionari, altri sono club esclusivi dediti alla sapienza più che alla salvezza delle anime. Da universitario estatico, andai in fibrillazione per i Terapeuti descritti da Filone nel De vita contemplativa, che dalla periferia di Alessandria d'Egitto percorrono i deserti e si destinano a infiorare il giorno di canti e di danze in onore di Dio. Mi affascinavano pure i Messaliani, diffusi nel HI secolo in Mesopotamia, che pensavano di annegare in Dio attraverso la «preghiera incessante» e di fare esperienza sensibile dello Spirito Santo: il loro verbo, diffuso dallo Pseudo-Macario, mi pareva così salubre che avrei lasciato tutto per imbucarmi nella voragine dell'eresia. Nel frattempo, il mio prof studiava i Circoncellioni, che si aggiravano in Africa settentrionale, in bande piuttosto feroci, anelando al martirio (anche suicidandosi) come mistica via. I Valentiniani, invece, diffusi nel II secolo, cristiani gnostici, «dicono che esisteva, nelle altezze invisibili ed innominabili, un Eone perfetto. Questo Eone essi lo chiamavano "Pro-principio", "Pro-padre" e "Abisso"», ci narra Ireneo di Lione, in quell'incomparabile compendio di dottrine fasulle - ai suoi integerrimi sguardi - che è il Contro le eresie. 

Tra le eresie più micidiali, però, c'è quella dei Cainiti, che «Credevano di dover compiere tutte le azioni possibili, in modo da pagare il prezzo prestabilito per avere la libertà definitiva dal mondo materiale... Secondo l'assurda teologia dei Cainiti, il Dio della Bibbia è soltanto un mostro cosmico, è il nemico. Per questo, tutti i personaggi negativi che si trovano nelle Sacre Scritture, a cominciare dal serpente che tentò Eva, sono per loro buoni. Anche Caino, ovviamente. Quel che è bene è male, e viceversa». In questo caso, non cito da Ireneo o dal testo saturo di enigmi di un eresiologo, ma dal nuovo romanzo di Fabio Delizzos, La cattedrale dei Vangeli perduti (Newton Compton, pagg. 336, euro 9,90), dove i Cainiti, risorti dalle spire del II secolo, hanno un ruolo determinante. Il romanzo di Delizzos ha almeno due pregi. Il primo è l'autore. Che non finge di essere quel che non è, non fa le moine da novello Gadda, come capita a troppi disastrosi romanzieri odierni, anzi, si definisce «antico cavatore di tesori... col desiderio di estrarre qualcosa di inaudito dalle profondità dimenticate del tempo». Il secondo è che il libro è ricco di suggestioni eretiche e di sfiziosità storiche, c'è più saggezza qui, tra le maglie di un romanzo spudoratamente «di genere» che in troppa letteratura degenerata pseudo midcult. 

Intanto, la trama del libro - radicata su una verità storica - è affascinante. Il fulcro è il tentativo, nel 1564, di destituire Papa Pio IV, poco dopo la chiusura del Concilio di Trento, dal trono penino. In controluce, si intuisce l'ombra dell'inquisitore Michele Ghislieri, che diventerà papa, come Pio V, guarda caso, dopo la morte di Pio IV. Eroe assolato, Raphael Dardo, agente al servizio di Cosimo I de' Medici, con l'incarico di vigilare sulla sanità del papa. Proprio Raphael si trova tra le mani - turbato nella fede, titubante nell'opera - un nugolo di apocrifi, «Vangelo di Giuda Didimo Tommaso... Vangelo di Maria, Vangelo degli Ebrei, una lettera di Pietro a Giacomo, un'altra, e un'altra ancora, il Vangelo di Verità, il Vangelo di Filippo, l'Apocalisse di Paolo... C'è di che scuotere il mondo». Il romanzo, che ha il passo rapido e fumettistico di un libro del genere, «di genere», tocca, tuttavia, un punto delicatissimo nella storia del cristianesimo: i rapporti tra San Pietro e San Paolo, Uà chi intende la rivelazione di Cristo come un patrimonio dei giudei (Pietro), e chi una possibilità per i pagani, libera dalle mannaie della legge giudaica (Paolo). Tra le prime scoperte di Raphael, infatti, c'è la fatale - ma pseudoepigrafa - lettera da Pietro a Giacomo, in cui «Pietro si rivolgeva a lui animatamente, lamentandosi del "nemico", "l'apostolo dei Gentili", che stravolgeva gli insegnamenti del Cristo arrivando a predicare il contrario». Per chi è digiuno, prenda la Bibbia di casa, Atti degli apostoli, capitolo 15, dove si racconta l'esito del Concilio di Gerusalemme che contrappone, appunto, i discepoli di Pietro a quelli di Paolo. L'attualità di questa discordia mi è stata testimoniata, un paio di anni fa, dall'Arcivescovo Emerito di Ferrara Luigi Negri, in questi termini: «mentre Pietro, e una certa parte della Chiesa degli inizi, tendeva sostanzialmente a legarsi all'esperienza giudaica, certamente nel suo aspetto migliore, ma rischiando così di portare la Chiesa nascente al suo scioglimento nel giudaismo stesso, dall'altra Paolo richiamò vigorosamente a definire l'identità e il compito inderogabile della Chiesa: annunziare la redenzione in Cristo Gesù, presentandolo come l'unica possibilità di salvezza per l'uomo e per il mondo».

Questo per dire a quali riflessioni può portare un romanzo, ben costruito, che mira a dilettare. Non capisco, piuttosto, perché i decantati scrittori di oggi non sentano l'urgenza di affrontare temi narrativamente fecondi come la storia del cristianesimo e della Chiesa. Dio, forse, fa paura.

Fonte: Il Giornale 30/08/2018


30/09/2018

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