Perché il Rinascimento ha una trama da noir


di Marcello Simoni

Archetipi, tensione emotiva e bellezza. Con questi elementi l'età dei Medici è diventata un perfetto potenziale di fiction. Fino al videogioco Assassin's Creed.

È una giornata di sole, le strade di Firenze sono gremite di passanti. La ragazza si lascia alle spalle una via ombreggiata da tendoni di botteghe ed entra in Piazza Santa Croce, passando accanto al monumentale Dante Alighieri di Enrico Pazzi. Prosegue fino a Piazza della Signoria, oltrepassa l'Ercole e Caco di Baccio Bandinelli e, dopo un'esposizione di pittori ambulanti, il David di Michelangelo. La Galleria degli Uffizi è ormai davanti ai suoi occhi, ma guadagnare l'ingresso significa mettersi in fila tra decine di sconosciuti. La ragazza pazienta, affronta il disagio, finché non si ritrova dentro il palazzo, tra statue, busti e affreschi che sembrano incombere su di lei. La loro bellezza è un assalto sensoriale che la costringe ad affacciarsi a una finestra, dove l'attende una splendida vista su Ponte Vecchio. Un sospiro e la visita riprende. Ma ecco la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, con i suoi cavalli e le sue alabarde che suscitano nella mente della spettatrice un impeto di nitriti, cozzare d'armi e clamore di soldati. Alle spalle della ragazza, quasi una coppia di spie, occhieggiano i profili di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza. È quindi il turno della Nascita di Venere e della Primavera del Botticelli, un eccesso di perfezione che la perseguita, fino all'urlo muto della Medusa di Caravaggio. La molteplicità genera panico, la grazia estetica diventa abbacinante. La ragazza alza istintivamente gli occhi per trovare requie, ma s'imbatte in una scena mitologica che la costringe a guardare altrove. Verso la Caduta di Icaro di Bruegel il Vecchio. Ed è a questo punto che avviene la fusione tra realtà e fantasia, l'immersione perfetta nella tela del pittore olandese. Una fuga mundi che la vede cadere svenuta.


La scena, tratta dalla Sindrome di Stendhal di Dario Argento e accompagnata da un'avvolgente colonna sonora di Ennio Morricone, contiene tre elementi che richiamano - e in parte aiutano a comprendere - lo stato d'immedesimazione generato dalla lettura di un romanzo, o dalla vista di un film, ambientato tra il Tardo Medioevo e il Rinascimento. Il primo è l'effetto illusorio - in gergo, la ricostruzione storica - capace, se ben calibrato, di catapultarci in una realtà parallela fatta di bellezza e di fascinazione. Senza contare che il lettore diverrà ben presto "complice" dell'autore del romanzo, accrescendo con la propria fantasia gli elementi veicolati dalla fiction. Parole come castello, affresco, forziere, cavaliere e nobildonna rappresentano infatti dei veri e propri archetipi capaci di stimolare la nostra creatività, facendoci vedere di più di quello che viene descritto. Anzi, di renderlo vivo in una sorta di realtà aumentata.

Il secondo elemento è la tensione emotiva. Man mano che la protagonista del film di Argento si addentra nella Galleria degli Uffizi subisce il fascino soffocante, quasi allucinatorio, delle opere d'arte. Questa affezione psicosomatica, nota pure come sindrome di Firenze e descritta dallo stesso Stendhal, è quanto di più simile all'effetto del thrilling trasmesso dalla fiction. Palpitazioni, allucinazioni e vertigini richiamano quegli stati d'animo che spesso si manifestano in situazioni estreme, specie nei romanzi di genere, polizieschi o avventurosi, e che ci inducono ad accelerare la velocità della lettura per giungere al più presto alla soluzione della vicenda. Non di rado queste emozioni possono addirittura contagiarci, trasmettendoci un senso di ansia e di disagio.

Il terzo elemento è l'ambientazione. I sintomi della sindrome di Stendhal nascono infatti dalla visione di un surplus di magnificenza in spazi limitati, come chiese, androni e piazze seminascoste tra gli edifici. In poche parole, un tessuto architettonico-urbano claustrofobico. Ecco spiegato il successo di tanti romanzi, film e serial tv ambientati a Firenze. Un successo che non deriva, in sostanza, dalla semplice ricostruzione di una città legata al Rinascimento e nemmeno dalle continue citazioni di monumenti e di opere d'arte. La chiave fondamentale è che Firenze, quasi strozzata tra gli anelli delle sue antiche cinta murarie, con mille vicoli, archi e luoghi in cui perdersi, rappresenta una cornice perfetta per compiere delitti, ordire intrighi e accogliere scene d'azione. Una cornice noir, a tratti destabilizzante, che parrebbe contenere, nel bene e nel male, tutti e tre gli elementi sopra citati.

Ed è proprio quando entra in gioco la Storia che il volto ombroso di Firenze diventa più affascinante. Si pensi a Quattrocento di Susana Fortes, all'Eretico di Carlo A. Martigli, a I Medici di Matteo Strukul e persino al videogioco Assassin's Creed II, in cui troviamo un temerario Ezio Auditore che corre fra i tetti della città del pieno Rinascimento, diviso tra il desiderio di vendetta e la brama di scoprire un antichissimo segreto. Se ci allontaniamo per un attimo dalla narrativa contemporanea, tuttavia, ci accorgiamo che fu proprio Dante tra i primi a ritrarre Firenze in un amalgama di bellezza e di degrado. Ma ancor più incisivo è forse Machiavelli con la favola di Belfagor (diventata film storico-fantastico nel 1966). L'Arcidiavolo infatti «entrò onoratissimamente a Firenze: la quale città innanzi a tutte l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più atta a sopportare chi con arte usurarie esercitassi i suoi danari». Nei tempi recenti, l'unica innovazione è stata ricacciare i diavoli all'inferno e rendere gli uomini responsabili delle proprie azioni, restituendo loro cattiveria e meschinità che fanno da contraltare al fascino di una delle città d'arte più incantevoli del mondo. Ed ecco dunque spuntare l'improbabile Leonardo da Vinci della serie britannico-statunitense Da Vinci's Demons e l'ancor più surreale Cosimo il Vecchio dell'anglo-italiana I Medici. Non va tralasciata la datata ma filologicamente accattivante miniserie di Roberto Rossellini, L'età di Cosimo de' Medici, girata per la tv tra il 1972 e il 1973. E infatti è proprio in questa sorta di lungometraggio-documentario che possiamo dire d'aver incontrato un Cosimo de' Medici molto umano. Probabilmente, il più somigliante all'originale: un uomo geniale, amante della bellezza, dei labirinti e dell'intrigo. Tutto ciò che ritroviamo a Firenze, nella sua storia e nelle suggestioni che è capace di offrire a uno scrittore.

Fonte: Repubblica 15/09/2017


15/09/2017

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