FEDERICA BOSCO: PAROLA DI GATTO
VISTO
30-11-2023
Cosa pensano di noi i nostri gatti? Una scrittrice l'ha scoperto dando voce a lui, il felino Sir Thomas, il vero padrone della sua casa e del suo destino
Si intitola "Il mio gatto mi detesta – Il diario di Sir Thomas” il nuovo libro di Federica Bosco. Che ha scritto quest'articolo in esclusiva per "Visto"
Tutto è cominciato nel lontano 1975 con una trovatella di nome Camilla, una gattina bianca e rossa chiamata così per il suo appetito vorace che ricordava quello di mio nonno Camillo, che non apprezzò minimamente (la leggenda vuole che a suo tempo abbia minacciato l'Invernizzi di ritorsioni se non avesse tolto dalla circolazione la mascotte "Camillo il coccodrillo").
Dopo Camilla fu la volta di Arturo, gatto bianco e nero di una bontà assoluta, regalatoci da una signora contattata da mia mamma su un giornale di annunci, che entrò di diritto nello stato di famiglia.
Camminava insieme a noi come un cane, era fedele e gentile, sensibile e profondo. Di quelli che dici: deve essere la reincarnazione di qualche spirito indiano.
Leggenda vuole che, dopo l'ennesima fuga in strada in preda a una botta di testosterone, mio padre gli abbia fatto un discorso da "uomo a uomo" che recitava più o meno così: "Arturo, scegli: se esci ci rimetti la vita, se rimani ci rimetti le palle".
Arturo scelse le palle e visse molti anni. Nel frattempo eravamo andati ad abitare in campagna. I gatti si moltiplicavano come margherite.
Mi accollai una cucciolata intera composta da Vanessa, Grace, Lorenzo, Luca e Carlotta, con buona pace di mia madre che si era arresa alla mia vocazione animalista.
Avessi potuto, giuro, li avrei salvati tutti e, con tutti, intendo tutti quelli che esistono al mondo.
In seguito c'è stato Mariolino, uno psicopatico che rimase pochissimo con noi perché aveva di meglio da fare, tipo svaligiare case salendo al terzo piano scalando un glicine.
Kitolè, raccattata alle isole Mauritius, dove rimasi un anno come animatrice turistica, e portata a Firenze di nascosto in volo.
Gurb e Blanche, regalati da un'amica: "Devo partire, prendili tu, ma devi prendere la coppia". I due sono poi andati a vivere da mia madre che ha il giardino, hanno fatto una vita bellissima scorrazzando, cacciando e facendo la cacca all'aperto. Blanche è mancata un mese fa, a ventun anni.
Per dieci anni non ho più avuto gatti. Ci pensavo, ma mi dicevo le solite cose: e come faccio, e quando vado via, e poi sono in affitto.
Poi arrivano un paio di eventi: la menopausa e la pandemia, in quest'ordine.
E mi si spalanca il bisogno assoluto di occuparmi di qualcuno.
Non ho figli, ho cinquant'anni, sono il prototipo della gattara.
Decido allora di rendermi la vita difficile e prendere un gatto, ma non uno qualunque, un Maine Coon, una razza con un carattere unico, molto simile a quello di un cane. Imponente, primadonna, ostinato e che non sopporta la solitudine.
Perfetto per me che passo l'80% del mio tempo a casa.
Lo prendo da un'allevatrice, fatico a sceglierne uno perché sono di una bellezza assurda. Guardatevi qualche foto e capirete.
La leggenda vuole che mi abbia scelto lui infilandosi nel trasportino rimasto aperto in salotto, sbaragliando la concorrenza di altri 13 fratelli.
In realtà, come ho scoperto in seguito, si sarebbe infilato nel trasportino di chiunque. Mai visto un gatto più indifferente di lui al calore umano, se non quando ci sono cinque gradi. Quando si dice il karma…
Appena varcata la soglia di casa mia, con ancora nelle orecchie l'eco delle parole dell'allevatrice "È probabile che pianga perché gli mancano i fratelli", lo vedo disfare le valige e prendere possesso della mia camera, dandomi la mancia.
Gli scelgo un nome imperioso: Sir Thomas, cui non risponderà mai nemmeno una volta.
Lo porto con me ovunque, al mare, in montagna, in ogni località che possa soddisfare tutte le sue esigenze e nemmeno una delle mie.
Sono stata tre settimane in una casa di legno sperduta fra le colline di Piombino completamente isolata, senza segnale, senza numero civico, senza illuminazione, perfetta per un film horror dove la protagonista viene assassinata da una setta, solo perché c'era un giardino di 400 mq.
Ho affittato una casa che mi è costata un rene, perché c'era una terrazza enorme, anche se io dormivo in una singola. Ho comprato una macchina perché nella mia Cinquecento del '98 non c'era l'aria condizionata, ho recintato chilometri di balconi e giardini per farlo stare in sicurezza, acquistato ogni gioco esistente e il cibo migliore sul mercato impegnandomi l'altro rene e svariati organi non vitali (giochi e cibo che lui ha snobbato nel giro di un'ora, preferendo una pallina di carta e le scatolette del discount). Ho visitato veterinari in ogni continente, chiesto finanziamenti perché costa più un antipulci di un Rolex e ho finito per indebitarmi definitivamente per il resto della vita per comprargli un giardino.
Tutto questo per un gatto. Se avevo un figlio che facevo? Gli compravo Gardaland? Il tutto nell'ingratitudine costante e nel costante giudizio e insofferenza.
È un gatto, direte voi, "Sono opportunisti".
Non è vero. I gatti sono come le persone, ti amano o no, vogliono stare con te o no e, come noi, non hanno voglia di farsi tocchicciare tutto il tempo, ma formano un legame di fiducia alla pari, che devi meritarti tutti i giorni.
Così, dopo tre anni, stremata dalla mia condizione di primipara attempata, mi sono messa a scrivere un post dove è Sir Thomas che parla (male) di me nel suo diario.
E racconta tutto, dei traslochi ("Sono di nuovo stato rapito contro la mia volontà"),della mia inettitudine ("La Babbea che ho preso in comodato d'uso non è quella che avevo richiesto, è anziana, non particolarmente brillante e non parla le lingue") e della sua costante insoddisfazione ("Per Natale ho chiesto un mantello, un pioppo e un monopattino e non ho ricevuto niente di tutto ciò, salteranno delle teste!").
E questi racconti sono diventati un libro, con uno sguardo impietoso su di me, che ne esco malissimo, ma con una certa indulgenza per noi umani fragili e vulnerabili, ma pieni di buona volontà, il cui unico vantaggio è il pollice opponibile con cui apriamo le scatolette. "Ma appena riusciremo a supplire a questa svista, la loro estinzione sarà rapida e definitiva".
A oggi, sono certa che questo libro lo abbia scritto lui.
30/11/2023