Non di sole fusa vive il gatto, signore del mondo


Tra scienza, racconto e divertissement
così i felini hanno "addomesticato" l’uomo

Di Alberto Mattioli

Ne siamo certi da sempre: l'esistenza del gatto è l'unica prova sicura di quella di Dio. Adesso c'è anche l'avvocato del diavolo. Si chiama Abigail Tucker e il suo (serissimo) saggio s'intitola Il re della casa, cioè «Come i gatti ci hanno addomesticato e hanno conquistato il mondo». Tucker è una gattolica non pentita, semmai eretica. Prende atto che i gatti stanno ormai dominando gli umani e il resto del pianeta, rassegnato alla loro evidente superiorità. Ma, per una volta, lo racconta dalla parte dei dominati e non dei dominatori. Chiedendosi come e perché questi «ipercarnivori asociali» (parole sue; da gattolici invece ortodossi e anche un po' bigotti, ci dissociamo) si siano impossessati di un impero globale fatto di coccole e attenzioni e se questo, per caso, non sia un pericolo, o almeno un'esagerazione.

Le statistiche, in effetti, sono impressionanti. «Il cugino burlone del leone, un tempo solo una nota a pie pagina nel libro dell'evoluzione, è diventato una forza della natura», premette Tucker. Poi inizia a dare i numeri: la popolazione mondiale di gatti domestici ha ormai superato i 600 milioni, il triplo dei cani. Nei soli Stati Uniti, i mici sono cresciuti del 50 per cento fra il 1986 e il 2006; in Brasile, aumentano di un milione all'anno; in Australia, i gatti randagi o semiselvatici sono 18 milioni, sei volte di più di quelli che vivono in casa, e costituiscono una minaccia per le altre specie animali e per l'ambiente. Del resto, ogni giorno negli Usa nascono più micini di tutti i leoni superstiti sulla terra. Se «fra il gatto e la tigre c'è solo una differenza di taglia», e per il resto sono perfettamente uguali, allora si deve concludere che per una volta hanno vinto i più piccoli. E, davvero, ci potevano riuscire soltanto i gatti. Visto che le spiegazioni tradizionali, tipo necessità di eliminare i roditori, sono tutt'altro che scientificamente dimostrate, Tucker propende per la tesi che non sia stato l'uomo ad addomesticare il gatto, ma il gatto ad addomesticare l'uomo. Questi «soprammobili in pelliccia» o «predatori con il muso da bambini» si sono intrufolati nelle nostre case non invitati da nessuno e non hanno alcuna intenzione di lasciarle.

Nel frattempo, hanno realizzato l'obiettivo di tutti i dominatori: far riconoscere dai dominati la loro superiorità. «In realtà, risulta che quello che noi riteniamo attaccamento o affetto che il gatto prova per noi, non solo non è incondizionato, ma è attivamente condizionante. I gatti sono architetti sperimentali; noi siamo come i cani di Pavlov». Da qui un «appeasement» ai desiderata felini ancor più incondizionato di quello di Chamberlain verso Hitler, e il proliferare di una manualistica con titoli tipo Your Home, Their Territory, «La tua casa, il loro territorio». Una «sottomissione» alla Houellebecq verso i miaomettani, mentre una «lobby felina» propugna un'attiva «gattificazione» della nostra vita quotidiana e, in prospettiva, del mondo.

Tucker sa quel che dice e lo dice anche piuttosto bene. La sua analisi non è nemmeno sospettabile di gattofobia, dato che convive felicemente con tale Cheetoh, dieci chili di micio, «la musa dal muso arancio, ispiratore di questo libro». Gli eccessi, in effetti, danno fastidio anche ai gattofili più osservanti, e sembrano le tipiche esagerazioni da neofiti. Magari indotte da considerazioni economiche sempre più importanti: negli States, il solo mercato del cibo per gatti vale 6,6 miliardi di dollari l'anno; quello della sabbietta igienica, due.

E tuttavia non riusciamo proprio a preoccuparci di una eventuale conquista miciesca del mondo: non solo perché adoriamo i gatti, ma soprattutto perché i cosiddetti umani lo stanno gestendo sempre peggio. Va bene segnalare, e magari stigmatizzare, la follia di chi serve al suo gatto un «miaojito» (esiste davvero: cocktail al pesce bianco e menta) o gli mette il pannolino, i pericoli della toxoplasmosi e pure il fatto che non è poi scientificamente dimostrato che i gatti facciano bene. Ma, come non di soli croccantini vive il gatto (c'è anche l'umido), così non di solo pane vive l'uomo. Forse non è detto che le fusa siano un segno di affetto per noi, ma di certo ci fanno stare meglio. La presenza di un bimbo baffuto trasforma per molti di noi il ritorno in una casa vuota nel ritorno a casa (e, se la casa è piena, nel ritorno in una casa dove almeno uno degli abitanti non rompe). Il gatto fa bene a noi anche più di quanto noi facciamo bene al gatto. E se questo significa farcene dominare, ebbene, non saremo certo i primi schiavi ad adorare le proprie catene.

Fonte: Ttl – La Stampa 07/10/2017


07/10/2017

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