Mito o realtà. Come è sexy il Medioevo


Marcello Simoni su Repubblica

 

Da qualche tempo sto iniziando a credere che “Medioevo” sia una parola magica. È sufficiente pronunciarla, infatti, per destare l’attenzione di un uditorio e fomentare in esso la più trascinante delle suggestioni. Come se tutti noi, anche quelli a digiuno di studi medievistici, provassimo familiarità per quel periodo storico. Come se ci appartenesse intimamente, o addirittura l’avessimo visitato.

Sensazione, questa, ereditata dalla penna di Victor Hugo, che nel cuore dell’Ottocento scriveva di un Medioevo parigino adombrato dalla sagoma di Notre-Dame. O ancora prima da Walter Scott, il quale, con Ivanhoe, ci conduce sullo scorcio del xii secolo, in quella regione boscosa dell’Inghilterra bagnata dal fiume Don. Regione nei cui pressi, un tempo, si aggirava il mitico drago di Wantley e che poi, dopo aver visto infuriare molte battaglie delle Due Rose, sarebbe diventata la casa dei fuorilegge celebrati dalle ballate che riecheggiano nel Robin Hood di Alexandre Dumas e nella Freccia nera di Robert Louis Stevenson.

Dal Romanticismo a oggi, questo incessante inseguire, rielaborare e non di rado reinventare – o addirittura fraintendere – il Medioevo si rivela un processo ancora in piena attività, ponendosi a metà strada tra un fiorire di studi sempre più specialistici e un trend di divulgazione pop che continua a nutrirsi delle leggende del templarismo, del Santo Graal e di altri inestimabili tesori perduti, fino alla nascita del genere fantasy. Anzi, alla sua re-invenzione, se vogliamo tener conto dei cantastorie che, vagando di castello in castello dopo l’anno Mille, diedero vita al ciclo di re Artù, del mago Merlino e della tavola rotonda.

In altre parole, anche questa seconda tendenza non si rivela poi così fuori luogo, dal momento che il Medioevo stesso, durante il suo respiro di oltre mille anni, aveva già iniziato a “rielaborare” la propria storia e a ingigantire il mondo conosciuto – quello esplorato da crociati, mercanti, pellegrini – sconfinando ben oltre i limiti del concreto e del verosimile.

Alludo a un non-luogo dell’immaginario, una sorta di topografia del fantastico, dell’esotico e dell’improbabile in cui troviamo praticamente di tutto, dai draghi alle sirene, dai cavalieri neri alle fate, dai basilischi ai giganti, in linea con un orientamento di pensiero già in voga tra i compilatori e gli amanuensi dell’Evo di Mezzo che scrissero le gesta di Beowulf, di Alessandro Magno, di Orlando, del Prete Gianni e della Regina di Saba, senza curarsi del fatto che gli scenari da loro descritti fossero reali oppure no. Proprio come faranno il dotto Gervasio da Tilbury, autore di un “libro delle meraviglie”, e il monaco cistercense Cesario di Heisterbach, che fu collezionista di leggende sorte in un’epoca non molto lontana dalla propria. E così farà pure Marco Polo quando, stimolato dalla creatività letteraria di Rustichello da Pisa, inserirà nel Milione aneddoti riguardanti unicorni, serpenti dotati di zampe leonine, mercanti con fattezze di lupo e draghi con la testa di topo che tanto somigliano ai “grilli” dei miniaturisti del xiii-xiv secolo ricercati dallo storico dell’arte Jurgis Baltrusǎitis.

Ma si badi bene, non c’è nulla d’ingannevole in questa tendenza di accostare il reale al fantasioso. Vi si riscontra invece un desiderio deliberato, quasi ossessivo di nutrire quella mentalità enormemente simbolica e figurativa che dovette appartenere agli uomini vissuti a cavallo del Mille. Una mentalità lucida, catalografica, per non dire enciclopedica, votata a fondere l’immagine con il pensiero, la parola con l’azione, la cronaca con la legenda, così da carpire l’essenza di ogni singola cosa e della totalità del creato nel loro reciproco rapporto attraverso l’ausilio di un’unica chiave di lettura: la polisemia. Così Dante, nel tracciare la topografia dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, allestirà una cornice scenografico-cosmologica di eventi e figure allegoriche; e così un meno noto Opicino de Canistris, in preda a una sorta di furor schizofrenico, traccerà su pergamena un enigmatico bestiario cartografico sul cui significato ci si interroga ancora oggi.

E ancora oggi, inseguendo la sua coda al pari di un Uroboro, il Medioevo fantastico non smette di evolversi fagocitando sé stesso attraverso Tolkien, che riscopre Beowulf, e Umberto Eco, che applica i principi della semiosi a un giallo ambientato nel Trecento, affiancati da Jacques Le Goff, Arturo Graf, Georges Duby e molti altri nel tentativo d’inquadrare una “logica del meraviglioso” che va dalla Navigatio di san Brandano (ix-x secolo), scopritore dopo Ulisse di isole misteriose, ai prodigi magici descritti nei bestiari, nei lapidari e nei trattati di demonologia usciti dai cosiddetti Secoli Bui.

Secoli Bui che, d’altro canto, non furono affatto tali.

Infatti, se negli scriptoria medievali l’immaginario galoppa più veloce dei cavalieri dell’apocalisse, altrettanto può dirsi per la sete di conoscenza volta al recupero di uno scibile andato disperso dopo il declino dell’Impero romano d’Occidente, al tempo delle invasioni barbariche e dei contrasti tra l’Esarcato e i longobardi, a partire dal momento in cui il riassetto dell’impero a opera di Carlo Magno, dei suoi successori e degli imperatori Ottoni, quindi dei re normanni e, finalmente, di Federico ii di Svevia, non favorirà il diffondersi dei centri monastici, dei comuni e delle università.

È così quindi che si ricomincia a parlare di Aristotele, di Vitruvio, Averroè, Tolomeo, Albumasar e Avicenna, mentre nel campo pittorico si sviluppa la tecnica del colore, della proporzione e della prospettiva e le cattedrali crescono sempre più maestose, al centro di città protette da mura merlate. E se la notazione neumatica consentirà il progresso del canto sacro, le profane chanson de geste inizieranno a risuonare all’interno dei castelli, parlando di eroi e celebrando l’amor cortese.

L’amore per la bellezza, per la luce e per la vita.

Lo stesso amore che il popolo berciante delle prime pagine di Notre-Dame de Paris, borghigiani, studenti e gaglioffi di un’epoca remota, che tuttavia sentiamo così vicina, esprime durante la Festa dei Folli davanti a uno dei simboli più importanti del Medioevo: la grande cattedrale di Parigi.

 

 


30/07/2021

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