Meglio felici che furbi


I bambini più contenti del mondo, e anche educati, esistono. Dopo «tigri», «maman» e «newyorkesi», ecco il METODO DANESE salva-famiglia
di IRENE SOAVE

Fonte: Vanity Fair


Giocare con i Lego o al parchetto con i giochi Kompan (i più diffusi al mondo: avete presente le torrette con scivoli e ponti di corda dall`aria «intelligente»?). Leggere
una fiaba crudele di Hans Christian Andersen, come La Sirenetta originale (niente nozze, lei torna in mare abbandonata da tutti), per abituarsi all`assenza del lieto fine. Scegliere dopo la scuola un pomeriggio dell`impronunciabile (ma educativo) skolefritidsordning, cioè gioco libero pochissimo sorvegliato, perché «fa sviluppare empatia, resilienza, coscienza dei propri limiti più di qualsiasi dei due o tre corsi di violino o tennis a cui iscriviamo i nostri figli». A partire da questi capisaldi - appresi dal marito danese, e messi in pratica sui loro due figli - Jessica Joelle Alexander, americana trapiantata a Roma, ha creato la risposta empatica, e (giura) praticabile anche nel Mediterraneo, alle varie pedagogie geo-specifiche nate dopo il boom della «Mamma tigre»: Il metodo danese per crescere bambini felici, già tradotto in 19 Paesi e scritto a quattro mani con la psicoterapeuta Iben Sandhal. «Dal 2006 viviamo a Roma, ma prima siamo stati in Danimarca quattro anni. I bambini che vedevo là erano non solo i più felici che avessi mai incontrato, ma anche i più educati. Un altro mondo rispetto agli Stati Uniti, dove pure la felicità è un`ossessione, e le fiabe hanno tutte il lieto fine! E rispetto anche alle spiagge italiane, con mamme che urlano e sculacciano e figli che comunque fanno come vogliono». A proposito di sculacciate: in Danimarca sono illegali. «Lo sono dal 1997. E in Svezia dal 1979. Io da piccola qualcuna l`ho presa, mio marito lo trova impensabile. Io non capivo perché, e ho letto 80 studi accademici sul tema. Nessuno le trova utili. Quando partono, i primi a perdere siamo noi: i bambini ci obbediscono per paura, e perdiamo empatia». L`empatia, racconta lei, in Danimarca è
materia scolastica. «Ci sono corsi per imparare a riconoscere le emozioni. Sto cercando di farne fare uno nella scuola di mia figlia a Roma. Ma so che anche l`educazione sessuale è molto osteggiata». È facile essere un «genitore danese» qui? «Una mamma italiana ha meno aiuti. Un esempio: la campagna sul Fertility Day è stata spesso paragonata a una danese, che per molti era migliore. Ma oltre allo spot migliore, la campagna danese offriva aiuti economici! Là il lavoro è più tutelato e ha orari più strutturati. E aiuta tanto: se sei una mamma stressatissima fatichi a seguire un progetto educativo». Il cliché della mamma italiana è un po` quello della «chioccia», lei teorizza la necessità di giochi avventurosi. «Le maestre dell`asilo un giorno ci hanno convocati per chiederci se era ok che i bambini andassero a giocare al parco anche d`inverno, cioè "prendessero freddo". Ma certo! E poi il vocabolario: voi per esempio non avete un verbo per dire "fare i genitori", che c`è in tutte le lingue del Nord (inglese compreso: to parent, ndr). È come "amare", un`azione, non uno stato. E poi c`è questa parola che io non voglio dire ai miei figli, "furbo": è a metà fra una critica e un complimento, in pratica vuol dire che uno non segue le regole ed è intelligente per questo. A scuola la sento spesso: non è un caso che nel vocabolario danese non ci sia».


05/10/2016