La testa perduta di Goya e l'enigma delle "Pitture nere"


L'INDAGINE. La scrittrice Alex Connor alle prese con il mistero degli ultimi tempi del pittore, la sua malattia e quelle figure mostruose dipinte sulle pareti della casa "Quinta del Sordo"

di Matteo Strukul

Secondo una leggenda, quando Francisco Goya venne seppellito nel 1828 nel cimitero di Bordeaux in Francia, qualcuno, in una notte di maggio, profanò la sua tomba e gli staccò la testa, trafugandola. Sembra infatti che un frenologo francese avesse incaricato dei ladri di cadaveri di consegnargli la testa del genio, al fine di studiarla. Vera o falsa che fosse questa storia, certo è che quando il corpo del grande pittore venne riportato in Spagna, nel 1899, la sua testa era scomparsa. E non riapparve mai più.

Se a questa cupa leggenda aggiungiamo che, negli ultimi anni della sua vita, Goya aveva completato le Pitture Nere, il tenebroso ciclo di dipinti realizzato direttamente a intonaco sulle pareti della Quinta del Sordo, la casa di campagna in cui viveva e che aveva ribattezzato in modo tanto inquietante a causa della sua malattia, ebbene, ce n’è abbastanza per considerare il maestro spagnolo come il più maledetto della storia.
Goya aveva realizzato quei foschi dipinti murari senza un’apparente motivazione. Subito dopo averne completato la realizzazione, aveva venduto la casa ed era fuggito in Francia. Aveva, molto probabilmente, paura di qualcosa. Già, ma di cosa? E soprattutto: qual era il significato di quel ciclo di inquietanti pitture? In molti hanno tentato di trovare la soluzione dell’enigma. Quel che è certo è che Goya non diede titolo alcuno al ciclo e nemmeno alle tele che vennero invece ribattezzate dal pittore Antonio de Brugada, suo amico, chiamato a inventariarne le opere dopo la sua morte.

Di certo rappresentavano una sorta di trionfo del male con colori scuri, che vanno dal marrone al nero, e mettevano in scena una serie di figure dalle bocche spalancate e urlanti (Il pellegrinaggio di San Isidro), creature mostruose nell’atto di divorare esseri umani (Saturno), vecchi inquietanti ridotti a scheletri (Due vecchi che mangiano), mostruosi sabba di streghe (Il sabba delle streghe), uomini che si affrontano in una sfida all’ultimo sangue nei campi (Duello rusticano). Sono dipinti terribili, che lasciano senza speranza e che molto probabilmente riflettono tutta la malinconia di un uomo malato, isolato dal mondo a causa della propria sordità, anziano e liberale preoccupato per il ritorno del re Ferdinando VII, restauratore di un assolutismo spietato, specie nei confronti di quanti avevano sposato i valori della libertà.

Da questo storia agghiacciante e macabra comincia il nuovo, nerissimo romanzo di Alex Connor – Goya Enigma (Newton Compton, pp. 384, euro 12) – partendo dal presupposto che la testa di Goya sia improvvisamente riapparsa. Ad averla sarebbe Leon Golding, stimato critico di storia dell’arte, ossessionato dalla figura del celeberrimo pittore. Proprio lui sta tentando disperatamente di risolvere l’enigma che si cela nelle Pitture Nere di Goya. Alex Connor è formidabile nel creare una miscela letteraria che, rispettosa dei fatti e delle varie ipotesi formulate della critica, non rinuncia all’invenzione fantastica, teorizzata da Sebastiano Vassalli, e attinge a piene mani dal grande pozzo creativo dell’occultismo, delle fosche suggestioni del thriller, rendendo magnificamente un’atmosfera cupa, inquieta, nella quale lo spettro nero, piratesco di Goya pare abitare. 
Fra sedute spiritiche, teste mozzate, assassinii, indagini impossibili, ricatti, tradimenti e inganni, l’autrice inglese compone un mosaico letterario di stupefacente e malinconica sensibilità, che potrebbe fornire più di uno spunto per comprendere lo spirito di Goya e delle sue Pitture Nere.

Fonte: Il Fatto Quotidiano 24/04/2019


24/04/2019

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