La mamma mi vuole male


di Stuart MacBride

Mamma mi vuole morto. 
Lo so perché Lucy l’ha sentita parlare con papà. 
Lucy è più grande di me, quindi sa un sacco di cose. Per esempio sa dove papà tiene la chiave della Credenza Proibita, sa che sapore ha il whisky e sa cosa succede quando tagli un verme a metà. 
Mamma a lei vuole ancora bene. 
Trenta minuti fanno la differenza quando si tratta di gemelli. 
Papà è in cucina, le braccia tese in avanti come se stesse cercando di fermare un treno. «Calma, sono solo delle salsicce». Ha un maglione del colore del sole e un paio di jeans con un buco sul ginocchio da cui sbucano i peli delle gambe, come minuscoli ragnetti. 
Mamma sbatte l’anta del frigorifero, facendo tintinnare i barattoli e le bottiglie all’interno. «Non sono «solo delle salsicce», è tutto quanto!» Ha il cardigan teso sulla pancia, grossa e gonfia, e la pioggia le ha arricciato i capelli. Si volta verso Lucy e le lancia un’occhiataccia. Picchietta col dito sul pullover grigio della divisa scolastica. «Dove sono?».
Sono certo che Lucy faccia del suo meglio per non guardarmi, ma non riesce a trattenersi. Poi si volta di nuovo verso mamma. «Io non ho fatto niente. Fstavo facendo i compiti». La fatina dei denti le ha lasciato ben cinque sterline per i due denti davanti e lei le ha usate per comprarsi una lente d’ingrandimento, come quella di quel tizio, Sherlock qualcosa, in tv. 
Mamma fa una smorfia, i suoi denti sono bianchi e appuntiti. «NON DIRMI BUGIE!».
Lucy fa un passo indietro. Sbatte le palpebre un paio di volte. Poi sporge in avanti il labbro inferiore e le vengono le lacrime agli occhi. «Mi difspiace». Una lacrima le riga la guancia paffuta. 
«PER L’AMOR DI DIO!».
Papà afferra mamma per le spalle. «Va tutto bene, lascia perdere le salsicce, ci ordiniamo una pizza». Fa un sorriso, anche se si vede che non gli viene affatto da ridere. «Andrà benissimo, vero principessa?».
Io resto impalato lì, a guardarlo. «Anche a me piace la pizza…». 
Ma lui si gira. Prende il bicchiere di mamma dal bancone della cucina e lo riempie di succo di mela. 
«Ecco», le dice con dolcezza, porgendoglielo. «Ricordati quello che ha detto il dottore». 
Mamma serra la mascella, come se volesse spezzare qualcosa con i denti. Poi trae un profondo respiro. Si stringe l’attaccatura del naso tra le dita. «Mi…», sospira. «Mi dispiace di aver alzato la voce, Lucy». 
Papà annuisce. Poi si volta verso la finestra della cucina. Fuori c’è una luce calda, tendente all’arancione, e sul prato si allungano delle minacciose ombre blu. «L’avete sentito?».
Guardiamo tutti verso il giardino sul retro. 
Da dietro la staccionata arrivano ululati e guaiti. 
Papà butta giù un sorso di vino. «Quel maledetto cane non se ne sta mai buono, eh?». 
Mamma scuote la testa. «Un’intera confezione di salsicce del Cumberland. Perché…?». 
Lucy mi guarda e io annuisco. 
«Charlie mi ha detto…».  
«BASTA!». Il bicchiere di mamma finisce in frantumi sul pavimento. Lei si gira dall’altra parte. «Via da qui». 

Lucy è in punta di piedi, una scatola di cioccolatini tra le mani. «Mi difspiace che ti fsei arrabiata per le fsalfsicce ieri, mamma». Un sorriso. «Ti voglio bene». 
Fuori in giardino un merlo cinguetta il suo allegro motivetto. 
Le rughe intorno agli occhi della mamma si distendono. «Grazie, principessa. Sei un tesoro». 
Scioglie il nastro e toglie il coperchio. «Ne vuoi uno?».
Lucy scuote la testa. «Fsono tutti per te». 
Mamma ne prende uno e se lo infila in bocca. Fa una faccia disgustata. Guarda Lucy che le sorride raggiante, poi mastica e deglutisce. «Mmmm….». 
Lucy la osserva mentre lei li mangia tutti. 

Lucy indica la siepe che separa il nostro giardino da quello del vicino. «Vuoi vedere Capitan Morfsetto?»
«E se Capitan Morsetto ci morde?»
«Tranquillo. Vado io per prima. Non ho paura dei cani». 
Scuoto la testa. «Non voglio». 
«Ti preeego!». Batte le ciglia, come fa quando vuole qualcosa da papà. 
Sospirò e annuisco. «Ok».

La mamma di Steven gli stringe la mano così forte che le sue dita sembrano artigli. Lui piange, il naso tutto molliccio, la bocca e il mento sporchi di sangue. Sua mamma prende un fazzoletto e lo usa per tamponargli il viso, fulminando papà con lo sguardo. «E lei sarebbe un genitore? Dovrebbe vergognarsi!».

Lucy sta piangendo, abbracciando Mr Orecchieflosce. Lo tiene stretto, così lui non se ne andrà. Però ormai è troppo tardi. È tutto molle e freddo. 
«Oddio». Mamma è a bocca aperta. «Che cosa…? Come…?».
Ha la voce tremante e spezzata. «Ch… Charlie… Guarda cosa ha fatto Charlie al mio coniglietto».

Il papà di Capitan Morsetto è in piedi sul gradino, tutto sporco di fuliggine. Ha gli occhi stretti a fessura. Picchia con il dito sulla staccionata. «I piccoli stronzi dovrebbero essere rinchiusi in un istituto!».
Una colonna di fumo grigio si alza nel cielo, il capanno sta bruciando e c’è puzza di benzina e plastica.
Nel giardino alle sue spalle, il suo grosso cane continua ad abbaiare. Grande, scuro e spaventoso. 

Lucy ridacchia, tornando verso la staccionata. Ci sediamo lì, a guardare i rotolini di carne che giacciono sul prato. Salsicce del Cumberland. Trasudano grasso sotto il sole di mezzogiorno. 
Lucy si porta entrambe le mani alla bocca, trattenendo le risate, mentre Capitan Morsetto trotterella fuori dall’apertura della porta sul retro e si piazza lì, ad annusare. Il suo grosso naso umido è tutto arricciato. Subito dopo si fionda sul prato e rovista tra i denti di leone e le margherite finché non trova le salsicce. Le azzanna con i suoi grossi denti appuntiti. 
Lucy tende un braccio e mi prende la mano. Gli occhi sgranati. A guardare il cagnolino che mangia. 
Gnam, gnam, gnam.

Al piano di sotto mamma sta di nuovo piangendo. 
Io e Lucy abbiamo fatto un patto. Mamma mi odia comunque, quindi qualsiasi cosa accada, io me ne prendo la colpa. Lucy è la brava bambina e io il monello. Il bambino a cui nessuno vuole bene. 
Lucy emerge dalla cesta dei giocattoli accanto a me, i gomiti appoggiati sul davanzale. «Che stai facendo?».
Il giardino sul retro è avvolto dalle ombre e l’altalena e lo scivolo sembrano scheletri mostruosi. Un acceso bagliore color arancio solletica le nuvole violacee che vagano nel cielo azzurro chiaro…
Noti davvero delle cose curiose quando stai per morire. 
Indico Capitan Morsetto. «Laggiù». 
Il cane barcolla avanti e indietro fra la staccionata e quel che è rimasto del capanno. Il dorso scuro tutto irsuto e curvo. Le zampe rigide. La grossa testa a triangolo che dondola a destra e a sinistra. Una bava schiumosa gli gocciola dalla grande bocca aperta.
Lucy schiaccia il naso contro il vetro. «Non è ancora morto». 
«Dagli tempo». 

Papà bussa alla porta e fa capolino. «Ancora in piedi, principessa?».
Lucy si volta verso la finestra. «Il cagnolino non fsta bene». 
Lui si siede sul bordo del letto, dando qualche pacca sul materasso accanto a sé. «Vieni a sederti». 
«Ok». Lei salta giù e corre lì. Si arrampica e si appoggia a lui, i piedini rosa che dondolano nel vuoto. 
«Ti sei lavata i denti?»
«Fsì». Poi indica me. «Ma Charlie no». 
Un’espressione dolente si fa strada sul viso di papà, che corruga la fronte. Mi guarda per un paio di brevissimi istanti. Poi scompiglia i riccioli di Lucy. «Mamma non voleva arrabbiarsi così tanto per quelle salsicce, principessa. È solo che… qualche volta il bimbo che ha nella pancia la rende stanca e scontrosa. Non voleva sgridarti. È molto dispiaciuta». 
La faccia di Lucy diventa tutta grinzosa, come quella di papà. «Le difspiace di aver sgridato anche Charlie? Fstavamo fsolo giocando». 
Lui si schiarisce la voce. «Il fatto è…».
«No». Lucy mi indica. «Devi sfcufsarti anche con Charlie!». 
Papà ha gli occhi umidi e mi guarda, sbattendo le palpebre. Trae un profondo respiro. «Mi dispiace, piccolo. Mi dispiace davvero tanto…». 
Annuisco. Bambino coraggioso. «Va tutto bene, papà, lo so. Ma mamma…». 
«Comunque», lui afferra Lucy e la abbraccia forte, «per te è giunta l’ora di partire alla volta di Sognolandia!».
«Va bene, papà». 
Le rimbocca le coperte. Le dà un bacio sul capo. Poi spegne la luce. Rimane sulla soglia e mi guarda. 
Tiro giù le maniche del mio logoro e vecchio pigiamino. «Perché mamma non mi vuole bene?».
Lui si morde il labbro inferiore. Poi chiude la porta. 

È il giorno del nostro quinto compleanno e mamma mi prende in braccio e mi fa girare, ridendo. Sto volando come un uccellino. Felice. Sorridente. Sghignazzante. 
Papà batte le mani. «Un bambino volante!».
Lucy, nel suo bel vestitino verde, si è incupita. 

Lucy è seduta sul vialetto del giardino, le ginocchia tutte sporche, i pantaloncini pure. Ha i piedi nudi raccolti sotto di sé. 
Mi accovaccio accanto a lei, e il mondo gira per un attimo, come quando chiudi gli occhi su una giostra. Sono le pillole… «Mamma è ancora arrabbiata per le salsicce». 
Una scrollata di spalle. «Le porterò dei cioccolatini». 
«Le piaceranno». 
Lucy ha trovato un topolino. È finito in trappola, come quelli nei cartoni di Tom e Jerry. Il metallo gli ha azzannato il corpo, proprio sopra la pancia, e le zampe anteriori grattano la base del marchingegno, mentre quelle posteriori sono tutte rigide e contorte. 
Lucy sposta la lente di ingrandimento, facendo danzare un puntino di luce bianca sul naso del topo. Poi lo posiziona sul suo lucido occhio scuro. Lo tiene fermo lì mentre la bestiola sbatte le palpebre, si dimena e squittisce. Ma nessuno può sfuggire a Lucy. 
Quando un sottile filo di fumo si leva dalla palpebra di Mr Topo, lei fa un verso di compiacimento. Le piccole zampette rosa grattano e artigliano, ma il topo è in trappola, proprio come tutti noi.   

«È una rana?». Papà la osserva, il naso tutto arricciato, come se sentisse un odore orrendo. «Oh mio Dio…».
Lucy gliela porge, il labbro inferiore tutto tremulo. «Ti prego, papà, fai stare meglio Mr Ranocchio? Ti preeego!». 

Mamma ha la faccia tutta gonfia e livida. Si aggira per la casa, gridando e piangendo. Strappa i miei disegni dal frigo e li ficca nella spazzatura. 
Il nuovo bambino nella sua pancia è solo un minuscolo rigonfiamento. Così piccolo che nemmeno l’avrei notato se papà non me l’avesse detto. Un bambino nuovo, così potranno rimpiazzarmi. 
Mi asciugo le guance bagnate e mi sforzo di ingoiare le lacrime. Le parole, come rocce appuntite, mi feriscono la gola. «Mi… mi dispiace, mi dispiace, mamma…».
Lucy è in piedi vicino alla porta sul retro, tutta vestita di nero come una principessa zombie. Dondola avanti e indietro con ai piedi le scarpe nuove, mentre mamma stacca via la mia foto di classe dalla parete, la appallottola e la lancia dall’altra parte della stanza. 
Papà se ne sta lì. A osservarla. Giocherella con la cravatta e non apre bocca. 
Nessuno mi guarda. 

L’uomo in tv legge i numeri della lotteria della domenica mentre io e Lucy facciamo capolino da dietro il bancone della cucina. Silenziosi come topi. Osserviamo. 
Mamma prende la scatolina di pillole dal ripiano e ne tira fuori due dal blister. Le sistema vicino a un bicchiere di spremuta d’arancia. 
Papà scuote la testa. «Io continuo a credere che non sia…». 
«Basta». La sua espressione è come un pugno. «Non lo voglio più qui. Voglio che se ne vada…».
Lucy mi tira la manica, la voce così bassa che la sento appena. «Te l’ho detto. Mamma ti ucciderà…». 

«SEI UN MOSTRO! UN ORRIBILE PICCOLO MOSTRO E TI ODIO!». 
Dalla bocca della mamma escono piccoli schizzi di saliva. «VORREI CHE FOSSI MORTO!».
Mi volto e scappo via dalla stanza. 
Le sue parole mi riecheggiano dietro. «MORTO!». 

Mamma si accovaccia, la mano aperta davanti a sé. Ha due piccole pillole bianche sul paffuto palmo rosa. Prende la spremuta d’arancia. «Ecco le tue pillole». 
«Ma io non…».
«Non avrai il gelato finché non prendi le pillole». Il suo sorriso si allarga. «Fallo per mamma». 
Un sospiro. Una scrollata di spalle. «Ok». 
E le pillole vanno giù. 

Ogni giorno altre due pillole. Io tossisco e tremo. E le formiche mi scavano sotto la pelle, mangiandomi fino a rendermi trasparente. Ma non mi lamento, perché se sarò un bravo bambino, forse mamma mi vorrà bene. 

Mr e Mrs Merlo cantano e danzano sul prato dei nostri vicini. Svolazzano tra i rami del leccio, quando io e Lucy facciamo capolino dai cespugli. 
Capitan Morsetto giace su un fianco accanto al capanno bruciato, ancora immobile e rigido. La bocca spalancata. Gli occhi vacui e vitrei. 
Lucy tira su col naso. «È morto?»
«Credo di sì». 
«Bene». Annuisce. Guarda a destra e a sinistra, come se dovesse attraversare la strada, poi corre da lui. Tira fuori la sua lente di ingrandimento e gli brucia gli occhi, giusto per sicurezza. 

Lucy è seduta a gambe incrociate sul pavimento davanti alla Credenza Proibita di papà e sta infilando delle piccole palline blu in un dolcetto al cioccolato fondente. Canticchia la sua allegra canzoncina. 
Io mi accovaccio accanto a lei. Nell’aria c’è odore di polvere e disgorgante. «Non credo che dovremmo farlo. È cattivo». 
Lei si ferma per un momento. «Stai morendo, te lo ricordi?». Poi affonda di nuovo la mano nella confezione di veleno per topi. Prende un altro cioccolatino e lo farcisce. Proprio come ha fatto con le salsicce di Capitan Morsetto. 
Lucy non mi ascolta più. 
Quando tutti i dolcetti sono pieni di veleno per topi, Lucy rimette il coperchio alla scatola, poi la chiude con un fiocco, per farla sembrare tutta carina. Come se arrivasse dritta dal negozio. 

Un cipiglio pensieroso. «Mamma?». Lucy mi tiene la mano. Siamo davanti al tavolo della cucina e mamma ha preso altre due pillole dal blister. «Perché vuoi uccidere Charlie?».
Mamma si irrigidisce. Tira su il capo. Fissa il muro. Sbattendo le palpebre. La sua voce è sottile e affilata, come un bicchiere rotto. «Prendi quelle maledette pillole. E basta». 

Non riesco più a sentire la musica. Solo il tung-tung-tung della vita nelle orecchie, amplificato dall’acqua del bagno. 
Lucy incombe su di me, la sua faccia ondeggia come se fosse un po’ qui sotto e un po’ là fuori. Sta sorridendo. Un sorriso ampio e appuntito, con un buco in corrispondenza di uno degli incisivi. 
Le sue mani sono calde intorno al mio collo, e stringe. Le ginocchia sul mio petto. Le gambe che mi bloccano le braccia lungo i fianchi. 
Sta ridacchiando, sento il suo corpo vibrare per le risate. 
Ho il petto brulicante di scarafaggi e vespe e non riesco a respirare e l’acqua è calda e le mani di Lucy sono calde e la testa mi sta esplodendo e la stanza diventa sempre più buia e tutto quel che riesco a vedere è Lucy che sorride…

Lucy siede sulla cesta dei giochi e si guarda la punta dei piedi. «Io odio prendere le pillole». 
Fuori, Capitan Morsetto abbaia e guaisce. 
«E odio Capitan Morsetto». Incrocia le braccia con forza, come se volesse spremere fuori la vita da qualcosa. «E odio la mamma».
Scuoto la testa. «Lucy, non puoi…».
«Mamma vuole che tu muoia per sempre. Vuole che io me ne stia tutta fsola perché il dottore dice che non fsei reale. Fsei affogato». Lucy salta giù dalla cesta dei giochi. Apre l’armadio e tira fuori il bel vestito nero che le hanno comprato quando io sono stato messo nella terra insieme ai vermi e agli angeli. 
«Lucy, ti prego…». 
Si stringe il vestito alla guancia. «Fso dove papà tiene la chiave della Credenza Proibita. Ci ha mefsso dentro della roba per avvelenare i topi». Quel vecchio e familiare sorriso che rivela uno spazio tra i denti è tornato. «Vuoi venire a giocare con me?».
Mi chiamo Charlie. Il ragazzino che è affogato nella vasca da bagno. La voce nella testa di Lucy, quella che le dice di smettere di fare cose cattive. E mamma mi vuole morto. 
Bisogna solo vedere chi fa prima. 

Fonte: La Lettura 09/06/2019
Copyright Stuart MacBride
Traduzione Clara Serretta


09/06/2019

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