«Io, Caravaggio e Napoli»


L'inglese Alex Connor completa la sua trilogia-bestseller dedicata al Merisi e descrive una città che non ha mai visto: «Ho imparato ad amarla dai racconti di mio padre»

di Marco Perillo

Dall'Inghilterra un'ondata di passione verso personaggi che hanno fatto la storia dell'arte e che sono transitati un po' tutti, per un gioco del destino, per Napoli. A Caravaggio e alla sua seguace Artemisia Gentileschi, la scrittrice di Brighton Alex Connor ha dedicato alcuni libri editi in Italia per Newton Compton. Cospirazione Caravaggio, uscito nel 2016, è diventato un bestseller ai primi posti delle classifiche. Con II dipinto maledetto ha vinto il Premio Roma per la narrativa straniera. Eredità Caravaggio è il terzo romanzo di una trilogia, iniziata con Caravaggio enigma e Maledizione Caravaggio.

Connor, com'è nato il suo interesse peri pittori italiani del diciassettesimo secolo?

«Ero una bambina iperattiva e i miei genitori mi portarono in gita alla National Gallery a Londra. All'inizio non fui particolarmente impressionata, fino a quando non vidi la Cena di Caravaggio ad Emmaus. Una parte del mio cervello e del mio cuore allora si aprirono. Dovevo sapere chi aveva dipinto quella magia, dove, quando e come. Ho divorato le opere di Bernini, poi sono tornata a Caravaggio e ho scoperto Artemisia Gentileschi Con tutti questi pittori italiani ho sentito una certa familiarità, un senso di riconoscimento che non percepivo con pittori inglesi o francesi. La colorazione, la densità del sentimento e il loro potere, sembravano risuonare dentro di me. Quella sensazione non mi ha più lasciato».

Perché, dopo Caravaggio, un romanzo su Artemisia Gentileschi, la prima donna ad aver denunciato uno stupro? Forse perché lei è un personaggio davvero attuale?

«Artemisia mi ha ispirato dagli anni dell'adolescenza, il trauma del suo stupro mi ha irritato. Una ragazza di 17 anni che è stata trattata come pegno dal suo malvagio padre, che è stato pubblicamente umiliata, che si è rifiutata di arrendersi anche sotto tortura».

Sullo sfondo dei suoi romanzi c'è sempre Napoli, capitale del barocco, città piena di contraddizioni.

«La mia relazione con questa città è spirituale. Per cinque volte mi sono organizzata per visitarla e ogni volta qualcosa ha impedito il mio viaggio. Mio padre la amava e mi ha raccontato molte storie, conosceva tanti dettagli sulle strade napoletane. L'ho vista attraverso i suoi occhi, ho imparato ad amarla per delega. Poi l'ho studiata. E non mi sono arresa, mi preparo a visitare Napoli il prossimo anno».

Napoli è luci e ombre. Forse è questo il motivo per cui Caravaggio è stato bene in questa città, nonostante abbia rischiato la vita?

«Come avrebbe potuto Caravaggio non prosperare a Napoli? Era vivace, caldo d'ambizione in una città composta di puttane e marchesi, mendicanti e mecenati, buio e luce, vita e morte. Ai suoi tempi Napoli era il luogo in cui venivano messe su le fortune. A differenza della maestosa Roma, a Napoli esisteva una meritocrazia grazie alla quale gli artisti si radunavano da tutto il mondo per farsi notare. I napoletani, poi, erano ammaliati dal suo spirito ribelle, quindi il suo status di fuggiasco non faceva che aumentare il suo fascino. Amavano il lavoro di Caravaggio, il dramma e il pericolo risuonavano con le loro vite e lui era lì. Sotto la minaccia, certamente. In pericolo, sempre. Ma stimolato, eccitato, ispirato».

Nel suo romanzo, prima di morire, l'ultimo pensiero di Caravaggio, così come di Artemisia, è rivolto a Napoli. E una questione di amore o libertà?

«Tutti e due. Napoli era dove Caravaggio si sentiva più a casa Desiderava essere accettato a Roma, per essere il suo primo pittore - che divenne. Ma il suo rapporto sulla capitale italiana era irregolare, esasperato. A Roma Caravaggio cercò la sua fama, a Napoli cercò la sua anima Roma e la sua politica lo avevano tenuto al guinzaglio. Avrebbe cercato di adattarsi, di conformarsi, ma il suo temperamento non era per nulla malleabile. La conformità era estranea alla sua natura e inoltre, onestamente, credo che Roma avesse un po' paura di lui; il suo genio e la sua violenza troppo esplosivi per contenere. Al contrario, Caravaggio il fuggiasco a Napoli era libero».

Sembrami paradosso, vero?

«Quello che voglio dire è che ha sperimentato l'accettazione a Napoli Non era fatto per un'esistenza di corte: per inchinarsi ai patroni e ai pontefici, non era in grado di inchinarsi a nessuno. Un fatto che fa comprendere sia la sua grandezza che la sua debolezza Ma Napoli riconobbe Caravaggio come uno di sé. Il suo genio fu applaudito, i suoi difetti tollerati. Lo amavano come una madre ama un bambino difficile, con tolleranza illimitata Quindi credo che l'ultimo pensiero di Caravaggio sia stato per Napoli, che desiderava l'amore e la libertà di casa vostra».

Fonte: Il Mattino 09/12/2018


09/12/2018

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