INTERVISTA A GIAN LUCA MARGHERITI


Dottor Margheriti, Lei è autore del libro Le incredibili curiosità di Milano edito da Newton Compton. Milano è una città dai mille volti, quanti sono quelli sconosciuti?

Le incredibili curiosità di Milano, Gian Luca MargheritiLa prima risposta che mi viene in mente è 999! Scherzi a parte… Gli aspetti sconosciuti sono veramente moltissimi. Nello scoprire Milano spesso ci si concentra su pochi aspetti, in maniera forse non casuale tutti legati al guadagno; e così Milano è la città della moda, è la città del design, è la città del lavoro, è la città dell’economia e così via. Ma Milano è molto, ma molto, più di tutto questo. Milano è una splendida meta turistica, Milano è una città ricca di storia, Milano è una città romantica, Milano è una città piena di scorci meravigliosi, Milano è una città in cui ci sono un sacco di musei, Milano è una città piena di parchi e di spazi verdi. Sono tutti aspetti realistici che purtroppo non sono ignorati solo da chi abita lontano da qui, ma spesso e volentieri anche da chi abita in città. Pochi milanesi sanno che in città ci sono più di sessanta musei da visitare. Ancora meno sanno che ci sono più di venti metri quadrati a testa di spazio verde a disposizione di ogni cittadino. E potrei andare avanti con esempi del genere per svariate ore.
Milano è la città degli stereotipi; il fatto che sia grigia, triste, dedita solo la lavoro è vero solamente nella testa di chi non si sforza di viverla e di conoscerla. Concentrandoci sempre sui soliti quattro o cinque aspetti di Milano, ci si ritrova con cittadini convinti di vivere in un posto dedito solo al guadagno in cui l’aspetto umano diventa marginale. Ma tutto questo è falso. Il mio nuovo libro, così come tutti i miei lavori precedenti, serve proprio a cercare di rompere questa gabbia, serve a spiegare ai milanesi (e con milanesi non intendo solo quelli nati qui, ma anche tutti coloro che ci risiedono da una vita, da un anno o anche solo da poche settimane) che vivono in una delle più belle città del mondo, una città che ha voglia di essere scoperta e vissuta, una città che, a tutti coloro che si sforzeranno di andare a cercare oltre le settimane della moda, del design e di quant’altro, farà esplodere il cuore e perdere completamente la testa.

Non tutti sanno che a Milano si conserva il chiodo usato per crocifiggere Gesù.

Ebbene sì, all’interno del Duomo, in una teca a quarantacinque metri di altezza, al di sopra dell’altare maggiore, si conserva uno dei chiodi usati per crocifiggere Gesù.
Secondo la leggenda fu Ambrogio a ritrovarlo. Il vescovo di Milano un giorno, passeggiando per Milano, sentì un fabbro che imprecava contro un pezzo di metallo che da ore stava invano cercando di piegare. Il martello dell’uomo si abbatteva con forza sul piccolo oggetto reso incandescente dal fuoco, ma questo non si deformava. Ambrogio si avvicinò al fabbro e gli chiese di poter esaminare l’oggetto. Era un chiodo ritorto, grosso poco più di una spanna. Ambrogio impallidì. Immediatamente capì di che cosa si trattava. Era uno dei chiodi della Crocifissione.
Elena, madre dell’imperatore Costantino, durante un viaggio a Gerusalemme, aveva ritrovato tutti e tre i chiodi della Crocifissione. Tornata a casa ne fece dono a suo figlio che, per avere protezione in battaglia, li fece inserire nel suo elmo, nel morso del suo cavallo e in una briglia. Alla morte dell’imperatore i tre chiodi scomparvero, almeno fino a quel giorno del IV secolo in cui miracolosamente il chiodo adattato a morso del cavallo era ricomparso nella bottega di un umile fabbro milanese.
Al di là delle leggende, non deve stupire la presenza del chiodo a Milano. Sembra infatti che le reliquie in possesso di Costantino finirono nelle mani dell’imperatore Teodosio, grande amico di Ambrogio. Milano era all’epoca la capitale dell’Impero Romano e quando Teodosio morì nel suo palazzo milanese potrebbe aver lasciato ad Ambrogio il sacro chiodo adattato a morso di cavallo.
Il chiodo viene prelevato dal soffitto del Duomo una volta all’anno, il sabato precedente al 14 settembre, durante la cerimonia detta della Nivola. In quell’occasione il chiodo viene portato a terra dall’arcivescovo e lasciato per quaranta ore a disposizione dell’adorazione dei fedeli.

Cosa lega la Statua della Libertà a Milano?

Guardando la facciata del Duomo ci si accorge che le due statue che decorano la balconata che si trova sopra al portale maggiore hanno una notevole somiglianza con la Statua della Libertà. Le due statue sono però parecchio più antiche della ben più famosa Lady Liberty di New York; sono state scolpite nel 1810 da Camillo Pacetti. Se si osserva con attenzione le due opere di Pacetti, messe assieme, sono una copia pressoché perfetta della statua americana: quella di sinistra ha il braccio alzato esattamente come la statua newyorkese, mentre quella di destra regge una stele in maniera molto simile alla statua di Liberty Island. Impressionante anche la corona della statua di sinistra praticamente uguale alla copia americana che però ha solo sette raggi che rappresentano i sette mari.
È probabile che lo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi, l’uomo che realizzò la Statua della Libertà come omaggio dei francesi al popolo americano, si sia ispirato alle due sculture della facciata del Duomo per progettare la grande opera che dal 1886 accoglie i visitatori di New York. Bartholdi proprio nelle due statue di Camillo Pacetti pare aver trovato il giusto suggerimento per la sua Libertà che illumina il mondo, il titolo che porta l’opera oggi nota come Statua della Libertà.

Quante Madonnine ci sono a Milano?

Almeno quattro! La Madonnina che svetta sulla più alta guglia del Duomo non è l’unica. Ma andiamo con ordine: nel 1774 la Madonnina trovò posto in quello che allora era il punto più alto di tutta Milano, la guglia principale del Duomo. A realizzarla furono lo scultore Giuseppe Perego e l’orafo Giuseppe Bini. In realtà la Madonnina non è per niente –ina, visto che si tratta di una statua di più di quattro metri di altezza.
La Madonnina restò a vegliare i milanesi dal punto più alto della sua città per quasi due secoli. Per evitare che questa situazione mutasse, durante il periodo fascista, Benito Mussolini ordinò che fosse fatta una legge per evitare che in città qualunque edificio potesse superare l’altezza della Madonnina: quei 108, 50 metri divennero di fatto il tetto cittadino.
Quando finì la Seconda guerra mondiale e la brutta parentesi del fascismo, la legge voluta da Mussolini perse di ogni valore, ma per parecchi anni sembrò restare come patto non scritto tra Comune e Curia. Fu così che tutti i nuovi grattacieli di Milano si fermarono di poche decine di centimetri al di sotto della Madonnina. Questo fino ai primi anni Sessanta quando fu terminato il Pirellone, uno dei più bei palazzi cittadini, oggi sede di alcuni uffici della Regione Lombardia, ma al tempo della sua costruzione luogo principale degli uffici della celebre Pirelli. L’edificio, progettato, tra gli altri, da Giò Ponti, svetta su Milano per la bellezza di 127 metri, parecchi di più della Madonnina. Anche se la disposizione fascista era ormai decaduta, in gran segreto la famiglia Pirelli si accordò con la Curia per far posizionare sul tetto del grattacielo una copia in piccolo della Madonnina (alta solo un’ottantina di centimetri). La Madonnina idealmente continuava a vegliare i milanesi dal punto più alto della città.
Anche quando, nel 1978, il palazzo passò nella mani della Regione Lombardia, si decise di tenere segreta la presenza dell’altra Madonnina. Solo negli anni Novanta la notizia diventò di pubblico dominio.
Il record di altezza del Pirellone restò imbattuto fino al 2010 quando fu superato dal nuovo grattacielo fatto costruire dalla Regione, Palazzo Lombardia, che si innalza nel cielo milanese per oltre 161 metri. Una volta terminata la costruzione, con una cerimonia (pubblica questa volta) si collocò una Madonnina anche sulla vetta di questo edificio per lasciare il simbolo di Milano nel punto più alto della città.
Oggi anche l’altezza di Palazzo Lombardia è stata superata. A farlo ci ha pensato la Torre Isozaki (o Torre Allianz) che si trova nel cuore del nuovo quartiere City Life. Con i suoi 210 metri di altezza il nuovo grattacielo non è solo l’edificio più alto di Milano, ma di tutta Italia. Anche sulla vetta del titano di acciaio e vetro progettato dal giapponese Arata Isozaki  è stata posizionata una copia della Madonnina. Quella che è nata come una cerimonia segreta tra i Pirelli e la Curia è oggi una consuetudine riconosciuta che dovrebbe far piacere a ogni milanese: uno dei più importanti simboli cittadini che di edificio in edificio viene posizionato per essere sempre sul tetto della città.

Quali altre curiosità serba il Duomo di Milano?

Avete un paio di giorni per ascoltarmi? Le curiosità sul Duomo sono veramente un’infinità. Potremmo stare qui per giorni a raccontare aneddoti sulla sua storia o sulle opere d’arte che conserva. Se dovessi scegliere una cosa da raccontare sulla nostra cattedrale credo che mi concentrerei sul suo presunto legame con il demonio.
Il Duomo fu iniziato nel 1386 per volere di Gian Galeazzo Visconti che, in accordo con l’arcivescovo di Milano Antonio da Saluzzo, si offrì di donare alla nascente Veneranda Fabbrica del Duomo (l’ente laico che si doveva occupare della costruzione della chiesa e che oggi si preoccupa della sua conservazione) le cave da cui si estrae il pregiato marmo di Candoglia, il materiale di cui l’intera cattedrale è fatto.
Molti trovano impossibile la foga con cui il Visconti si gettò nei lavori di costruzione del Duomo. Troppo denaro speso per un potente che aveva ben poco da guadagnare da un’operazione del genere. E allora perché volle costruire il Duomo di Milano?
È una nota leggenda a chiarirlo: una fredda notte d’inverno, Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, era pacificamente addormentato nel suo letto. Improvvisamente, tra gran odore di zolfo, comparve il diavolo. Gian Galeazzo era comprensibilmente atterrito. Il diavolo minacciò il potente signore di portarsi la sua anima all’inferno e, come unica scappatoia, gli fece promettere di costruire una chiesa, a Milano, che oltre alle immagini di madonne e santi, fosse ricca di immagini del signore del male.
Gian Galeazzo si gettò a capofitto nell’immane opera che non poté vedere terminare perché morì poco dopo l’inizio dei lavori, nel 1402. Oggi che il Duomo è finito, alzando lo sguardo al cielo, fra le 3400 statue che lo punteggiano è possibile vedere anche diavolo, immortalato per sempre nella fissità della pietra in quei 96 doccioni dalla forma demoniaca posizionati al suo posto, così vuole la leggenda, per volere di Gian Galeazzo Visconti.
A ben guardare quei doccioni altro non sono che i famosi gargoyle (garguglia in italiano), i doccioni forgiati a forma di figure demoniache tipici dell’architettura gotica. A partire dal X secolo nelle chiese francesi i doccioni che servono per scaricare l’acqua piovana dai tetti cominciarono ad acquisire la forma di mostri ispirati alle divinità pagane o agli animali dei bestiari fantastici tipici del Medioevo. Queste strane figure vennero ad un certo momento legate alla cristianità trasformandosi in veri e propri demoni. La loro simbologia è ancora oggi incerta. Si tratta forse di figure apotropaiche che hanno il compito di tenere i demoni reali lontani dalle chiese. Sta di fatto che novantasei demoni ancora oggi guardano Milano dall’alto delle guglie del Duomo.

Cosa ha di particolare l’edificio al numero 3 di Corso di Porta Romana?

Al numero di 3 di corso di Porta Romana abitava il diavolo. O almeno questo è quello che si credeva nella Milano del Seicento. Secondo la leggenda il maligno si celava sotto le spoglie del marchese di Cisterna, Ludovico Acerbi.
Il marchese Acerbi arrivò a Milano nel 1615. Presto cominciarono a circolare inquietanti voci sui legami tra il marchese e il demonio. Va detto che il nobile non faceva niente per fermare le dicerie. Anzi: girava per Milano su una carrozza trainata da sei stalloni neri, era sempre circondato da sedici giovinetti pallidi come dei vampiri e il suo stesso aspetto, luciferino diremmo oggi, caratterizzato da una folta barba nera, non contribuivano a migliorarne la fama.
I milanesi fugarono ogni dubbio sulla vera identità del marchese quando scoppiò l’epidemia di peste del 1630, la più tragica che dovette sopportare Milano. Mentre tutti i nobili, per sfuggire al morbo, si trasferivano nei possedimenti fuori città, lasciando il popolo a morire per le strade tra atroci sofferenze, il marchese Acerbi restò nel suo palazzo e cominciò a organizzare feste sempre più sfarzose. Mentre i cadaveri si ammucchiavano ai lati del Corso di Porta Romana, oltre le finestre del numero 3 si sentiva ridere e brindare, suonare e cantare. Ovvio che, alla fine dell’epidemia che portò nella tomba oltre la metà dei milanesi, nella casa del marchese Acerbi nessuno era stato contagiato. D’altronde lì abitava il diavolo in persona.
Se questa prova della presenza del demonio in città non fosse sufficiente basta ricordare che, terminata la Seconda guerra mondiale, ci si rese conto che il palazzo barocco al numero 3 di corso di Porta Romana non era stato minimante sfiorato dalle bombe. Secondo qualcuno si poteva ipotizzare ancora lo zampino del demonio. In una città per la maggior parte devastata dagli effetti dei bombardamenti, il miracoloso salvataggio del palazzo doveva per forza essere attribuito a una qualche sovrannaturale protezione. E non certo di origine divina.

Quali grandi personaggi storici hanno lasciato traccia del loro passaggio a Milano?

L’elenco sarebbe lunghissimo. La nostra città porta le tracce di tutte le dominazioni che si sono susseguite nel corso dei secoli e alcuni dei più grandi nomi della storia (Napoleone Bonaparte, Ludovico il Moro, sant’Ambrogio, Attila, Federico Barbarossa, tanto per citarne alcuni) e dell’arte (Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Arturo Toscanini, Donato Bramante, Alessandro Manzoni, Francesco Maria Richini, Filarete, Bernardino Luini) hanno tutti lasciato una consistente traccia del loro passaggio in città. Quello che però mi interessa raccontare è di tutti quei grandissimi personaggi della storia mondiale che hanno vissuto, più o meno a lungo, a Milano e il cui passaggio è oggi ricordato da poche persone, quelle poche che, camminando per la città, ogni tanto alzano lo sguardo dal loro smartphone per leggere le tante lapidi sulle facciate dei palazzi cittadini che ricordano i personaggi che ci hanno abitato. Non parlo solo di grandi italiani che hanno abitato a Milano, come Francesco Petrarca, Ugo Foscolo, Alessandro Volta, Giacomo Casanova, Giacomo Leopardi, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Boccacio, ma anche di grandi personaggi internazionali come Jacques Prévert, Albert Einstein, Ho Chi Minh, Ernest Hemingway e Mozart.

Tra tutte le curiosità su Milano da Lei raccolte, quali ritiene le più singolari?

Anche qui per rispondere ci vorrebbe una giornata intera. Molte delle storie più belle, strane e curiose erano fortunatamente già contenute nelle domande che mi avete posto. Vorrei chiudere con quella che, a parer mio, è in assoluto la storia più strana che riguarda la città di Milano: la sepoltura di Evita Perón.
All’interno del Cimitero di Musocco dal 2005 si trova un monumento dedicato a Evita Perón, paladina dei descamisados argentini. Il monumento sorge dove per lungo tempo fu sepolta Eva Duarte, la moglie del presidente dell’Argentina Juan Domingo Perón.
Evita morì il 26 luglio del 1952 a Buenos Aires. Per l’Argentina fu un duro colpo, la giovanissima moglie di Perón, la donna che per prima aveva posto l’attenzione sui problemi sociali del paese, non c’era più. Il corpo di Evita fu imbalsamato con l’idea di collocarlo all’interno di una teca di vetro dove il suo popolo avrebbe potuto continuare ad adorarla. Ma il peronismo nel 1955 finì la sua corsa e il marito di Evita fu costretto a fuggire in Paraguay dopo un colpo di stato militare. I nuovi leader dell’Argentina si preoccupano di far scomparire il corpo della moglie di Perón per evitare che la popolazione creasse una sorta di culto intorno alla salma della donna. Si decise di mandarlo il più lontano possibile. La scelta ricadde su Milano, dove Evita fu sepolta sotto il nome falso di Maria Maggi de Magistris.
Tutti si dimenticarono delle spoglie di Evita almeno fino al 1970 quando un gruppo di peronisti scoprì la verità sul trafugamento del corpo. Il soggiorno milanese di Evita si concluse nel 1971, quando le sue spoglie furono esumate e spostate a Madrid nella residenza dell’esiliato Juan Domingo Perón. Dopo un lungo soggiorno nella soffitta della casa spagnola di Perón il corpo di Evita fu riportato in Argentina e sepolto nel cimitero della Recoleta. La sua tomba oggi è una delle più famose e visitate al mondo. E pensare che un tempo era a Milano.

Fonte: Letture.org  LINK


05/10/2017