Il libro che incastrò il killer


Nella California degli anni 70-80 un assassino seriale uccideva e stuprava. Una giornalista ha riaperto il caso. Lei è morta, ma il colpevole è stato catturato.

di Elisa Manisco

Non importa quanti libri, serie tv, film, e documentari su farabutti e psicopatici abbiate visto o letto, Dieci brutali delitti, della giornalista e scrittrice americana Michelle McNamara, vi metterà i brividi. In parte è il cosa: decine e decine tra stupri, saccheggiamenti, rapine e omicidi commessi tra gli anni 70 e 80 in California da un maniaco ossessivo e imprendibile, ribattezzato Golden State Killer. Ma soprattutto è il come. Era dai tempi di A sangue freddo di Truman Capote che un libro di "fattacci" non mostrava un simile livello di empatia per vittime e carnefice. Quando McNamara descrive le aggressioni del criminale, «l'odore del dopobarba che penetrava in camera da letto alle tre di notte», «la lama sul collo», o la torcia che ti acceca all’improvviso mentre stai dormendo azzerando ogni forma di normalità, ti sembra di stare lì. Peggio, sai che avresti potuto essere lì. Tu o chiunque altro. È solo questione di fortuna. Ma esplorare questo genere di luoghi oscuri ha un prezzo. Il cinico Capote non tornò più lo stesso dopo aver documentato l'eccidio della famiglia Clutter nel Kansas degli anni 50, e a McNamara inseguire quel fantasma dagli «occhi cattivi» è costato la vita: nel 2016 è morta nel sonno a 46 anni, stroncata da un'overdose di psicofarmaci presi per curare l'ansia e l'insonnia causate dalle febbrili ricerche per il suo libro sul killer. Sembrava la fine - triste - della storia. E invece era solo l'inizio. Pubblicato postumo negli Stati Uniti nel 2018, Dieci brutali delitti (appena uscito in Italia per Newton Compton) è diventato subito un bestseller, riaccendendo i riflettori su quei cold case arrivati da un'altra epoca. Fino al colpo di scena finale: la soluzione del caso a 32 anni dall'ultimo omicidio. «Quando ho visto Joseph DeAngelo in manette ho pensato: è esattamente come diceva Michelle. Un tipo anonimo, triste, a cui non dedicheresti un secondo sguardo per strada» racconta al telefono da Los Angeles Patton Oswalt, vedovo di McNamara e star comica di Hollywood (era la voce del topo Remy in Ratatouille la spalla di Charlize Theron in Young Adult). È lui che quella mattina di aprile di tre anni fa l'ha trovata morta nel letto matrimoniale, dopo aver lasciato una tazza di caffè sul comodino e accompagnato la figlia di sette anni a scuola, ed è lui che all'indomani dell'arresto del presunto Golden State Killer, l'ex poliziotto 73enne DeAngelo, ha scritto in un post su Instagram: «Ce l'hai fatta Michelle! Anche se i poliziotti non lo ammetteranno, il tuo libro ha contribuito a chiudere il caso».

Ma è davvero così? Quando McNamara è morta, non aveva ancora terminato Dieci brutali delitti, ma era convinta di essere a un passo dalla verità. Il Golden State Killer era una vecchia ossessione, fin dai tempi in cui scriveva sul suo blog True Crime Diary, uno dei primi forum di discussione nati su internet con il preciso obiettivo di avanzare nuove teorie su antichi crimini insoluti, e magari risolverli. «Le piaceva definirsi una "detective del portatile"» osserva Oswalt. «Passava gran parte del tempo a spulciare in rete vecchi elenchi telefonici, annuari scolastici digitalizzati e panorami dei luoghi del delitto su Google Earth». McNamara aveva «fiducia nell'errore umano» ed era alla ricerca di indizi che le autorità si erano lasciate sfuggire. Man mano, aveva iniziato a ricomporre le tessere del puzzle, un mosaico particolarmente efferato. Il "mostro" - un misterioso uomo sui vent'anni con il passamontagna - aveva esordito con una cinquantina di stupri nel nord della California, continuato con le rapine in casa più al centro, verso Fresno, e aveva concluso la "carriera" uccidendo dieci persone al sud: quattro coppie e due donne.

Preferiva le villette di periferia, quasi sempre la seconda casa prima dell'angolo, meglio se a un piano. Violentava le donne mentre gli uomini erano legati e impotenti in un'altra stanza, con una pila di piatti sulla schiena da tenere immobili, pena la morte. A volte uccideva, altre no. E non toccava mai i bambini, ma portava via oggetti dal chiaro valore affettivo. «Un predatore invidioso della felicità altrui» secondo Oswalt, che in dieci anni aveva lasciato una scia di sangue lungo tutto lo "Stato Dorato". Peggio del famigerato "killer dello Zodiaco", attivo a San Francisco dal 1968 al'69, o di Richard Ramirez, il "Night Stalker" che seminò il panico nella Los. Angeles negli anni 80. Eppure, sembrava non interessare a nessuno. Non aveva pagine di Wikipedia dedicate, e dargli un volto, dopo tutti quegli anni, non era certo una priorità per le autorità della California. «Fino a quando Michelle non ha iniziato a occuparsene e a chiamarlo Golden State Killer era come se non esistesse» spiega Oswalt. «Prima sembrava che ci fossero tre criminali diversi, a seconda della giurisdizione. Al nord era l'East Area Rapist, al centro lo chiamavano il Saccheggiatore divisarla e al sud l'Originai Night Stalker. In un certo senso, dandogli un nome memorabile ha permesso la sua cattura». Da quel momento, infatti, in tanti hanno cominciato a domandarsi come avesse potuto colpire e rimanere libero per decenni, spostandosi da una città all'altra: «Durante le sue incursioni almeno un paio di volte si è ritrovato con la pistola puntata contro dalla polizia, ed è stato visto da molte persone. Eppure l'ha sempre fatta franca. Cos'era, un genio del crimine? 0 si trattava di semplice fortuna?». Per rispondere a queste domande, McNamara non aveva esitato a uscire dalla sua comfort zone virtuale. Rintracciando testimoni e parenti delle vittime e condividendo la sua ossessione con investigatori ed esperti che avevano lavorato ai diversi casi riconducibili al GSK. Alcuni, come il criminologo Paul Holes, non avevano ma i smesso di pensarci. Questa immersione nello strazio altrui l'aveva «stremata», ma non voleva fermarsi. «Avevo paura per lei, ma allo stesso tempo desideravo che seguisse la sua strada, anche se questo comportava tanta sofferenza» ricorda il marito. «Quando aveva 14 anni nel suo quartiere di Chicago venne ammazzata una ragazza e il colpevole non fu mai trovato. Non riusciva a capacitarsi che simili tragedie potessero accadere all'interno di comunità apparentemente tranquille. Come donna e scrittrice, aveva bisogno di dare un senso a queste storie. Voleva trovare la soluzione del mistero». Se non se ne fosse andata all'improvviso probabilmente ci sarebbe riuscita. Tra le carte ritrovate dopo la sua morte, c'era un foglio con un appunto scribacchiato a mano: «Capire come inviare il Dna alla 23andMe o ad Ancestry.com». A quanto pare era la pista giusta. Anche se la polizia non ha chiarito i dettagli dell'arresto, Joseph James DeAngelo sarebbe stato catturato proprio grazie a un riscontro tra il Dna lasciato su alcune scene del crimine, che all'epoca dei delitti non era ancora possibile analizzare, e quello di un parente trovato in uno dei tanti siti che permettono di ricostruire un albero genealogico a partire dal proprio profilo genetico.
Accusato di tredici omicidi (più di quelli attribuiti al GSK nel libro) e di diciotto stupri, l'ex agente di polizia di Sacramento ora rischia la pena di morte. E Oswalt? A tre anni dalla tragedia, è andato avanti con la sua vita e la sua carriera. Nel 2017 si è risposato con la collega Meredith Salenger, e ha firmato uno degli show comici di maggior successo di Netflix, Annihilation, in cui affronta anche il tema del lutto. «Provo ancora così tante emozioni a riguardo che mi è difficile parlarne. Però c'è una cosa che spero di poter fare, prima o poi. Voglio incontrare DeAngelo e fargli tutte le domande che tormentavano Michelle, anche se sono convinto che non parlerà. In fondo, a lui non è mai interessato comunicare con le persone. Voleva solo rubare le vite degli altri».


Fonte: Il Venerdì di Repubblica 21/06/2019


21/06/2019

Scarica file PDF allegato