I Ritchie Boys, gli ebrei tedeschi che aiutarono a sconfiggere Hitler


Arruolati dagli americani per operazioni speciali e interrogatori

di Mirella Serri

Nell'autunno del 1942 una notizia volò di bocca in bocca nella valle del Maryland dove l'esercito aveva attivato il campo militare di Fort Ritchie: i nazisti erano arrivati in America e si stavano esercitando proprio da quelle parti. Un paio di operai che si erano addentrati nell'area top secret del campo raccontavano di aver visto un plotone con l'uniforme della Wehrmacht che marciava spedito: «Links, zwei, drei». Non era un miraggio ma non si trattava di fedelissimi di Hitler negli Usa, bensì di giovani militari ebrei tedesco-americani la cui vicenda è stata per decenni dimenticata e che adesso è stata ricostruita sulla base di diari ritrovati dallo scrittore e giornalista Bruce Henderson in Fratelli e soldati. La vera storia degli ebrei che sconfissero Hitler (in uscita da Newton Compton). I giovani che procedevano al passo dell'oca furono ribattezzati i Ritchie Boys, combattevano sotto la bandiera a stelle e strisce e si stavano esercitando per trasformarsi in perfetti soldati tedeschi pronti a infiltrarsi nelle linee nemiche. Ma si stavano allenando anche ad apprendere nuove tecniche di guerra, ovvero gli interrogatori dei prigionieri messi in atto per la prima volta dagli americani e dai britannici dopo lo sbarco in Nord Africa. Erano tutti ebrei nati in Germania da dove erano fuggiti verso la fine degli Anni Trenta lasciandosi alle spalle amici e parenti che non avrebbero mai più rivisto. Dopo l'addestramento di otto settimane nel Maryland, i circa duemila ragazzi che frequentarono i 31 corsi ottennero la cittadinanza americana e poi furono paracadutati in Francia: al seguito del generale Patton conquistarono Nantes, Orléans, Nancy e parteciparono nel dicembre del 1944 alla battaglia delle Ardenne.

Il loro intervento fu decisivo nella sconfitta tedesca. Un rapporto a lungo tenuto riservato dell'esercito americano ha rivelato che quasi il 60 per cento delle informazioni attendibili sul nemico raccolte in Europa furono frutto del lavoro svolto dai Ritchie Boys addestrati dal Military Intelligence Training Center (Mitc). Il loro segreto? I Ritchie Boys erano a conoscenza delle abitudini, del modo di esprimersi, della mentalità e della psicologia dei connazionali nazisti. Ma soprattutto operavano spinti da un drammatico e personale coinvolgimento.

Racconta Martin Selling, uno dei più famosi Ritchie Boys divenuto abilissimo nello «spremere» i prigionieri, che un ufficiale appena catturato gli chiese con arroganza dove aveva imparato così bene il tedesco. «Nel lager di Dachau», rispose Martin. A questo punto il graduato non svenne ma per la paura se la fece letteralmente addosso.

Ma era proprio vero: Martin era stato chiuso in quel campo di concentramento e ne era uscito vivo per miracolo. Non aveva comunque nessuna intenzione di applicare torture analoghe a quelle che gli erano state inflitte. Al contrario. Doveva agire sui prigionieri con grande velocità: le informazioni sui movimenti delle truppe, sulle postazioni difensive, sui campi minati e sul morale dei tedeschi diventavano rapidamente obsolete. E poi Martin e gli altri ragazzi che si chiamavano Werner Angress, Stephan Lewy, Guy Stern proprio per aver subito l'orrore della sopraffazione nazista non amavano la violenza.

Erano a conoscenza, per esempio, che i tedeschi temevano di essere catturati dai sovietici e di finire in Siberia. Allestirono così una pittoresca tenda russa dove Guy si fingeva un isterico Commissario sovietico con alle spalle una gigantesca fotografia di Stalin. L'espediente fu molto efficace nel convincere i nazisti a vuotare il sacco. Solo in alcuni casi, rammenta ancora Martin, si dovette ricorrere alle maniere forti. Così costrinse un detenuto assai reticente a scavarsi la fossa. E ottenne le notizie che desiderava.

Nel febbraio 1945 quando Guy fu informato che Marlene Dietrich avrebbe portato in scena il suo show per la Uso (United Service Organizations) nei pressi della sua armata, convinse la celebre attrice e cantante berlinese a fare un'escursione. La portò a visitare le gabbie dove erano chiusi i soldati della Wehrmacht. Voleva dare un segnale di pace e informare i detenuti che la loro collaborazione sarebbe stata preziosa per evitare un ulteriore spargimento di sangue.

Il momento più tremendo per i Ritchie Boys fu quando si imbatterono per la prima volta in un lager, nel sottocampo di Wöbbelin. Capirono così l'indicibile orrore che aveva inghiottito genitori, fratelli, amici. Ma i Ritchie Boys non chiedevano vendetta e non cambiarono nemmeno allora i loro metodi di interrogatorio. Furono eroi dissimulati e protagonisti di azioni che non finirono sotto la luce dei riflettori anche perché l'America postbellica non era pronta per ricordare le loro imprese. Molti di loro persero la vita ma la loro storia esemplare è caduta nel dimenticatoio fino ai nostri giorni.

Fonte: La Stampa 17/09/2017


17/09/2017

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