Gli architetti di Auschwitz, la "fabbrica della morte"


Karen Bartlett racconta per filo e per segno le vicende della Topf & Figli, l’azienda tedesca a conduzione familiare che progettò e costruì - con meticolosa cura - i forni crematori per i campi di sterminio nazisti

di GIAMBATTISTA PEPI


Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare, almeno una volta nella sua vita, di Auschwitz: la “fabbrica della morte”, il lager dove, a partire dal 1942, furono sterminati nelle famigerate camere a gas gli ebrei, una delle pagine più ignominiose della storia del genere umano. Situato nelle vicinanze di Oswiecim (Auschwitz in tedesco), città della Polonia meridionale, quello di Auschwitz era un complesso articolato di campi di concentramento e di lavoro esteso oltre 40 chilometri quadrati, il più grande mai realizzato dal nazismo. 
Normalmente vi erano detenute dalle 13mila alle 16mila persone, ma proprio dal 1942 la cifra sarebbe lievitata fino a raggiungere quota 20mila, divenendo rapidamente il più efficiente centro di sterminio della Germania nazista, dove vennero uccise un milione mezzo di persone. 
Oltre al campo originario, denominato Auschwitz I, c’era quello di Birkenau (Auschwitz II), dove effettivamente venivano uccisi gli ebrei e il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III). Il sistema-Auschwitz era completato da 45 sotto-campi costruiti durante l’occupazione tedesca della Polonia, in cui i deportati venivano utilizzati per lavorare nelle diverse industrie tedesche costruite nei dintorni. 
Auschwitz svolse un ruolo fondamentale nel progetto del Terzo Reich chiamato “soluzione finale della questione ebraica”: era un eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei, sebbene a Birkenau avrebbero trovato la morte anche molte altre categorie di internati: prigionieri di guerra sovietici, criminali comuni tedeschi, prigionieri politici ed elementi definiti asociali come mendicanti, prostitute, omosessuali, testimoni di Geova e zingari. 
È bene ricordare che la decisione di eliminare gli ebrei fu presa da Adolf Hitler in persona tra l’ottobre e il dicembre 1941 e pianificata nel corso della Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942. 
Lo sterminio sistematico degli ebrei costituì l’epilogo di una feroce politica di discriminazione, segregazione e persecuzione che era cominciata con la Notte dei Cristalli tra il 9 e il 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia. Un pogrom condotto dagli ufficiali del Partito nazista, dai membri delle SA e dalla Gioventù hitleriana su istigazione di Joseph Goebbels, uno dei più importanti gerarchi nazionalsocialisti e ministro della propaganda del regime nazista: si contarono 1.500 vittime. Furono bruciate o completamente distrutte 1.406 sinagoghe, case di preghiera ebraiche, cimiteri e luoghi di aggregazione della comunità ebraica, oltre a migliaia di negozi e case private. 
A partire dal 10 novembre e nei giorni seguenti circa 30mila uomini di religione ebraica furono arrestati dalla Gestapo e dalle SS e deportati nei campi di concentramento di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen. La maggior parte di loro fu rilasciata solo quando si “dichiararono” disposti all’esilio. Parecchie centinaia persero la vita durante la detenzione. Il   pogrom del novembre 1938 non rappresentò l’inizio della persecuzione ai danni delle persone di religione ebraica, ma ne fu una tappa: in realtà le ostilità nei confronti degli ebrei cominciarono dopo la presa di potere del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori guidato da Hitler con un invito al boicottaggio (aprile 1933) e nel 1935 con l’approvazione delle leggi razziali di Norimberga. 
Pur essendo divenuto il simbolo della Shoah (termine che viene dalla Bibbia e significa tempesta devastante), Auschwitz non era, però, l’unico lager della Germania nazista. 
Tra il 1933 e il 1945, la Germania utilizzò su vasta scala i campi di concentramento e di sterminio: ne sono stati censiti oltre 1.600 sparsi tra il territorio tedesco e quelli dei paesi alleati, come quello italiano (da noi è tristemente nota la Risiera di San Sabba a Trieste destinata all’eliminazione di detenuti politici ed ebrei) o conquistati durante la guerra. 
Gli internati, se non morivano prima di stenti, a causa delle disumane condizioni di lavoro, delle scarse razioni di cibo e delle condizioni igieniche pressoché inesistenti, venivano assassinati nelle camere a gas. 
Furono condotti molti esperimenti prima di trovare il metodo più rapido ed efficace per sopprimere i detenuti. Inizialmente, già sul finire del 1941, si usò monossido di carbonio prodotto usando spesso i gas di scarico di camion o carri armati (gaswagen). Poi si passò allo Zyklon B (nome commerciale di un agente fumigante a base di acido cianidrico utilizzato come agente tossico) che permetteva di uccidere in maniera veloce un gran numero di persone contemporaneamente (1.000-1.500 in circa trenta minuti). 
L’opera veniva poi completata con i forni crematori. Una macchina efficientissima per occultare le prove dei delitti commessi, disfacendosi dei cadaveri che, immessi nei forni, venivano ridotti in gas e polveri. Una modalità che venne messa in atto da Himmler, capo delle temibili SS, il quale aveva intuito i pericoli che quei cadaveri avrebbero potuto causare se non fossero stati fatti sparire senza lasciare tracce.  
Alla gran mole di libri, articoli, interviste, reportage pubblicati in tutto il mondo dai sopravvissuti ai lager e alla furia iconoclasta nazista, ma anche da storici, giornalisti, scrittori, sugli orrori del totalitarismo tedesco, si aggiunge adesso una sconvolgente pubblicazione: Gli architetti di Auschwitz (Newton Compton, pagg. 320, euro 12,90) di Karen Bartlett, tradotto dall’inglese da Davide Valecchi. È la storia scioccante di come furono creati i forni crematori e perfezionate le camere a gas che permisero di poter realizzare il genocidio degli ebrei. 
L’autrice (che ha collaborato con testate inglesi come The Sunday Times, The Times, The Guardian, Wired, condotto programmi su BBC Radio e pubblicato, sempre con Newton Compton, Sopravvissuta ad Auschwitz con Eva Schloss) racconta le vicende della Topf & Figli, una piccola e rispettata azienda a conduzione familiare con sede a Erfurt, in Germania, che produceva sistemi di riscaldamento e impianti per la lavorazione di birra e malto. Un’azienda come ce ne sono tante. Niente, ma proprio niente lasciava presagire la sua ascesa e il suo coinvolgimento diretto nell’Olocausto. 
Negli anni Trenta del Novecento, infatti, la ditta divenne leader nella produzione di forni crematori e, una volta scoppiata la Seconda guerra mondiale, si specializzò nella produzione di forni “speciali” destinati ai campi di concentramento nazisti.  
Durante i terribili anni dell’Olocausto, la Topf & Figli progettò e costruì i forni crematori per i campi di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Belzec, Dachau, Mauthauusen e Gusen. 
Gli uomini che concepirono queste macchine di morte non furono ferventi nazisti mossi dall’ideologia: a guidare i proprietari e gli ingegneri della Topf & figli furono piuttosto l’ambizione personale e piccole rivalità, che li spinsero a competere per sviluppare la migliore tecnologia possibile. 
Il frutto del loro lavoro riuscì a superare in disumanità persino le richieste delle SS. Ed è per questa cieca dedizione al lavoro che i fratelli Topf passarono alla storia con infamia. Tanto che il loro nome è ancora impresso sulle fornaci di Auschwitz.

Fonte: Economiaitaliana.it 29/10/2018
 


29/10/2018