FILIPPO BONI CON OLEG MANDIC - MI CHIAMO OLEG. SONO SOPRAVVISSUTO AD AUSHWITZ


Sono vivo grazie al caso e a mia madre

Fulvia degl'Innocenti, Famiglia Cristiana

 

Quando il 27 gennaio 1945 l’esercito russo arrivò ad Auschwitz, la maggior parte dei prigionieri era stata evacuata dai nazisti in quella che poi divenne una marcia della morte, a piedi nudi in mezzo alla neve per 100 km. Solo i più malati e i più deboli erano rimasti nel lager. Di quei 9 mila ne sopravvissero solamente 4 mila. Tra questi c'era la famiglia Mandic, proveniente da Abbazia (oggi Opatje), in Istria: Oleg, 12 anni, la madre e la nonna. Erano lì dal luglio 1944, deportati non perché ebrei ma per motivi politici, in quanto il padre e il nonno di Oleg, entrambi avvocati, erano tra i capi della Resistenza partigiana di Tito. Oleg divenne ufficialmente l'ultimo sopravvissuto a lasciare il famigerato campo di sterminio, due mesi dopo il 27 gennaio, e uno dei pochi bambini che erano riusciti a resistere alla macchina dello sterminio. Novantunenne, Oleg Mandic ha raccontato la sua storia insieme con lo storico e romanziere Filippo Boni nel libro Mi chiamo Oleg, sono sopravvissuto ad Auschwitz (Newton Compton). Vive ancora a Opatje con la moglie, e durante la nostra chiacchierata esordisce dicendo: «Sono nato italiano, sono diventato jugoslavo e morirò croato». Il riassunto di un pezzo di storia che ha visto l'occupazione italiana di Istria e Dalmazia, l'italianizzazione forzata degli slavi, l'occupazione nazista e la Resistenza (compresa la parentesi orrenda delle foibe), la nascita della Confederazione jugoslava, e poi la guerra dal 1991 al 1995 per l'indipendenza delle repubbliche. Oleg Mandic da decenni è un testimone della memoria dei lager. «Il primo articolo lo scrissi nel 1955 per il giornale di Zagabria in cui lavoravo. A un trauma bellico, hanno stabilito gli psicologi, il 60% delle persone reagisce rimuovendone il ricordo: beh, io faccio parte del 40% che invece non fa che parlarne. Ad Auschwitz ci sono tornato ben 12 volte, la prima nel 1969 quando morì mia madre travolta da un'auto: lei avrebbe desiderato farlo, e mi è sembrato doveroso andare anche per lei. E ogni volta che nella vita mi sono sentito perso, triste, sono tornato lì a ricaricarmi: perché, come mi disse mia nonna quando fu certo che ce l'avevamo fatta: "Ora che hai superato tutto questo hai il dovere di essere felice".»...


23/01/2025

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