La voce dei superstiti: «Studiate la storia»
Frediano Sessi, la Lettura
Degli oltre 230 mila bambini e ragazzi non ancora maggiorenni deportati ad Auschwitz - Birkenau, in maggioranza ebrei, gran parte morì nelle camere a gas, e poco più di 23 mila vennero registrati ed entrarono nel Lager. Alcuni di loro vissero alcuni mesi con le famiglie, come accadde a sinti e rom e agli ebrei provenienti dal ghetto di Terezìn. La maggior parte, senza più genitori, venivano sistemati a seconda dell'età nel campo delle donne, nella Baracca 16 del primo settore A di Birkenau, oppure se ormai adolescenti nel settore della quarantena maschile (BIIa) o nel campo destinato agli uomini (Blld). Abbandonati a sé stessi, a volte trovavano qualche prigioniero che li proteggeva, nel tentativo di salvarli; il più delle volte, imparavano ad arrangiarsi e a cercare di evitare tutte le minacce e le violenze che non provenivano soltanto dai carcerieri o dai kapo. Come gli altri detenuti, soffrivano fame, freddo, malattie, erano oggetto di esperimenti medici e venivano sfruttati come forza lavoro schiava. Gli adulti, che avrebbero dovuto proteggerli, non erano più con loro oppure non erano più in grado di farlo, distratti dalla vita nel Lager. Due di loro, che ormai hanno superato i 90 anni, hanno accettato di dirci qualcosa della loro storia di deportazione. Nelle loro parole ritroviamo speranza e desiderio di lottare, di continuare a testimoniare: Oleg Mandic che vive ad Abbazia, in Croazia, e Arek Hersh, residente a Leeds, in Inghilterra. Oleg Mandic (Sansego, allora sotto l'Italia, ora in Croazia, classe 1933) arrivò ad Auschwitz-Birkenau con la mamma Nevenka e con la nonna paterna Olga, il 14 luglio 1944, con il trasporto numero 31 partito tre giorni prima da Trieste. Non erano ebrei ma furono deportati come prigionieri politici, dato che il padre e il nonno di Oleg si erano uniti ai partigiani. Poiché lui era un bambino, venne lasciato nel campo delle donne, registrato con il numero di matricola 189488. Dopo circa due mesi, denutrito e febbricitante, fu ricoverato nell'ospedale femminile e rinchiuso nel locale riservato ai gemelli del dottor Mengele, dove rimase per quasi quattro mesi. Verso la metà di gennaio 1945 cominciò a tenere un diario e il 27 gennaio, giorno della liberazione, troverà in vita anche la mamma e la nonna. Sulla sua storia è appena uscito Mi chiamo Oleg. Sono sopravvissuto ad Auschwitz (Newton Compton), scritto da Filippo Boni con lo stesso testimone. Parlando con «la Lettura», la voce di Oleg Mandic è ferma, il ricordo lucido: «Non appena entrammo nel Lager di Birkenau e fummo indirizzati alle docce (la Sauna), tutti in fila nudi per essere registrati, mia madre si chinò per raccogliere qualcosa da terra. Un tedesco in uniforme le diede una frustata sulla schiena. Mia madre ebbe un sobbalzo, cominciò a inveire contro l'SS e lo scrivano addetto alle registrazioni, allora, si rivolse a lei e le disse: "Ma tu che cosa credi, dove pensi di essere arrivata?". Mia madre non rispose e lui: "Tu sei arrivata ad Auschwitz, in un Lager di sterminio"». Il racconto prosegue: «Ci fu una seconda cosa che mi fece capire dove eravamo. Dopo la rasatura dei capelli e il numero tatuato sul braccio ci portarono alla nostra baracca. Due prigionieri che erano sulla porta ci chiesero da dove venivamo. Rispondemmo che ci trovavamo nel campo da poco, tanto che si vedeva ancora il nostro treno fermo sulla rampa. Increduli di vederci ancora vivi, ci dissero che pensavano che noi fossimo già stati portati ai crematori, perché il treno si era fermato proprio vicino ai crematori. Ecco: il primo giorno già sapevamo che cosa era Auschwitz. Ci sono voluti 304 giorni per adattarsi alla vita del campo; vita per modo di dire...». E ancora: «Quando mi chiedono perché in un posto dove hanno ucciso quasi un milione di ebrei sono riuscito a sopravvivere, rispondo che per l'8o per cento è stata pura fortuna, perché nelle diverse situazioni ho indovinato quale strada scegliere, anche grazie all'amore materno che mi suggeriva come meglio comportarmi». Gli chiedo che cosa si può fare perché i giovani conoscano questa storia: «Oltre alle parole dei testimoni, la ricerca storica è molto importante se viene riportata nei libri di scuola». Com'è stata la sua esistenza dopo Auschwitz? «Ho avuto una bellissima vita. Le spiego: Auschwitz per me è stato il massimo del male, per cui per tutta la mia vita successiva ho sempre pensato che non mi sarebbe mai più successo niente di così terribile. Ogni cosa che mi succedeva la mettevo in relazione con Auschwitz e capivo che in confronto si trattava di bazzecole»...
19/01/2025