Felicia Kingsley - L'Intervista


FELICIA KINGSLEY: «LA SCENA PERFETTA DI SESSO NEI MIEI ROMANZI ROSA? MOLTO BREVE E SENZA TABÙ»

Irene Soave 

CORRIERE DELLA SERA

 

Serena Artioli, vero nome della scrittrice da 2 milioni di copie, si racconta: «Lo pseudonimo? L’ho scelto a 25 anni: ero architetta, temevo che l’Ordine mi avrebbe sanzionata per pubblicità illegittima. Sette ore al giorno al telefono con le mie lettrici».

Golfino e ombretto pastello, unghie e occhi a mandorla, quando arriva al Corriere ha finito di inventariare la posta delle fan: le lettere, migliaia, in cartelline, i pupazzi al figlio di due anni, i braccialetti della felicità, tantissimi, in un bel vaso di vetro a forma di teiera. Ai suoi firmacopie — molti, dai festival letterari alle Ipercoop — si creano code da Taylor Swift. Maga del lieto fine amoroso, l’architetta Serena Artioli incarna il lieto fine professionale sognato da molti scrittori: con il suo nom de plume che è Felicia Kingsley è cioè la scrittrice italiana più venduta del 2023, prima in classifica per gran parte dell’anno, due milioni di copie dichiarate di cui quasi uno nel 2023, quindici titoli pubblicati dal 2017

Tra gli ingredienti del successo: «Buona presenza social; un editore, Newton Compton, che crede in me sin da subito e mi ha pubblicata senza riserve»; ambientazioni all’estero, salgariane perché «ci viaggio ormai pochissimo»; prezzi di copertina da tre euro in su. Ma anche un fattore più impalpabile: Serena Artioli non si sovrastima ma nemmeno si autodiagnostica la «sindrome dell’impostore», è spiritosa ma si prende sul serio, parla della scrittura senza troppe mistiche. «Non so se esista il blocco dello scrittore. Esiste non aver voglia di scrivere. Se la storia non va avanti è un’altra cosa: vuol dire che come l’hai pensata non funziona». Ingoia una pillola. «Ketoprofene. Il bambino si è ammalato, ho dovuto riprenderlo dal nido a Modena e portarlo ai nonni, poi mi sono messa in macchina per Milano...Per forza mi tira la cervicale. Comunque piacere, Felicia». 

Ma è il suo pseudonimo. 

«Non fa troppa differenza. Per me è nato come strumento per scrivere: ero architetta, temevo che l’Ordine mi avrebbe sanzionata per pubblicità illegittima e volevo autopubblicare i miei romanzi. Oggi mi chiedono come si legge; non so. Quando l’ho scelto, a 25 anni, non credevo l’avrebbe pronunciato nessuno». 

E poi? 

«Un giornale locale, senza chiedermi, mi ha smascherata. Ma potevano chiamarmi, no? Ora i fan mi scrivono pure alla Pec da architetta». 

Ed è grave? 

«Detesto il disordine». 

A ogni femminicidio si dice, tra l’altro, che l’immaginario romantico tradizionale è «tossico». Lei scrive romanzi rosa. Che ne pensa?

«Vorrei cominciare a dosare l’uso della parola “tossico”: le parole si usurano. Nei miei romanzi cerco di ritrarre ragazze che non rincorrono il principe azzurro e uomini che vogliono una compagna che tenga loro testa. Ma non c’è nulla di male nel romanticizzare l’amore: le aspettative alte porteranno pure a delusioni, ma non averle vuol dire accontentarsi del minimo». 

Chi paga al primo appuntamento? 

«Spesso la disparità è fare a metà: in una realtà lavorativa come la nostra, una donna su due è inoccupata, molte devono lasciare il lavoro... Quando saremo pari su questo piano, allora si può cominciare a esserlo anche al ristorante». 

Gli uomini leggono romanzi rosa? 

«Il mio obiettivo è che li leggano. Ma è già difficile far guardare loro Harry ti presento Sally... Del resto io mica mi guardo quei film sparatutto». 

Il suo compagno fa eccezione? 

«Mai. I romanzi rosa sono spazi miei. Ci troviamo su altro: su cosa pensiamo della famiglia, ad esempio». 

Come si chiama? 

«Lui e il nostro bambino stanno fuori dalla mia fama». 

Il vostro è stato un incontro da romanzo? 

«Per niente: il classico "combino" di amici comuni». 

Quanto sta al cellulare? 

«Più o meno sette ore al giorno. Mi scrivono persone che raccontano le loro vite, gravidanze, difficoltà. I miei libri non cambieranno vite, ma ci facciamo compagnia. Molti esagerano e mi scrivono: grazie per avermi regalato questa storia. Ma quale regalato, l’hai pagata». 

Poco. Alcuni suoi libri vanno in vendita a tre euro. 

«Una scelta dell’editore, che condivido. Sono contenta se uno non deve scegliere tra leggermi e fare benzina». 

Chi sono le sue lettrici? 

«All’inizio ero io stessa. Scrivevo su quadernini o salvandole su floppy disk le storie che avrei voluto leggere io. Oggi sono donne di ogni età, soprattutto donne mature o ragazze sotto i 20 anni. E anche giovani donne attorno ai 30. Mi piace pensare di scrivere per mediowoman, la donna media. Che poi sono io». [...]

 

 

 


05/03/2024