Corto Maltese è Marco Polo


Modelli. Marcello Simoni esce con mi nuovo romanzo ambientalo nel Quattrocento, la cui trama affonda le radici nel Medioevo. Nel libro la consueta fedeltà alla verosimiglianza storica si unisce alla passione per l'avventura: genere che lo scrittore ama fin da quando era bambino e di cui per «la Lettura» traccia, in queste due pagine, un suo personale canone.

Ieri e oggi. L'astuzia di Ulisse, la fede di Orlando: le storie piene d'invenzioni si fondano da sempre su riflessioni profonde. La sete del «Milione» è la stessa del personaggio di Hugo Pratt. E ancora adesso, che si fagocitano informazioni alla velocità di miliardi di bit al secondo, sopravvive il nome di Tarpino, il vescovo che partecipò alla campagna di Carlo Magno e ne descrisse l'epopea.

Di Marcello Simoni

«Scrivere un’avventura medievale che profumasse di mare: non saprei spiegare altrimenti l’idea che mi ha tenuto compagnia nella stesura del nuovo romanzo, “Il patto dell’abate nero”». Così Marcello Simoni sul libro che uscirà giovedì 28 giugno da Newton Compton, ambientato nel Quattrocento ma che affonda le radici nell’epoca di Carlo Magno. Per «la Lettura», nel testo di queste pagine, l’autore passa in rassegna i titoli d’avventura che lo hanno catturato come lettore e ispirato come scrittore. «Ero stanco — confessa Simoni — di sentirmi etichettare come autore di thriller e di sentir parlare di narrativa “di genere”. Preferisco parlare delle suggestioni che influiscono sulla creatività di chi scrive, soprattutto sulle sue letture. È dalla lettura che scaturisce l’impulso di raccontare storie e che proviene il senso di appartenenza che lega un romanziere a situazioni destinate a ricorrere nelle sue trame». «Nel mio caso — aggiunge — questo imprinting reca il fragore del mare e un cozzare di lame in combattimento. Lo avverto ancora, al punto che di tanto in tanto sospendo la scrittura e inizio a sfogliare i libri che hanno segnato fina da bambino i miei gusti di “raccontastorie”. Chiamatemi Giona, se volete: quasi sulla sua scia sono passato dal pescecane di “Pinocchio” alla balena di “Moby Dick”. Navigatori e ventri cavernosi di mostri marini eccitano da sempre la mia immaginazione». Il filo conduttore, però, è sempre la ricerca storica: «Non mi permetterei mai di elaborare trame avventurose senza rispettare i principi della verosimiglianza».

Difficile stabilire con esattezza il momento in cui le trame avventurose abbiano fatto la loro comparsa nel panorama della narrativa, insediandosi stabilmente nel patrimonio dell’immaginario collettivo. Di certo, lo stesso acume che faceva da sprone alla creatività di Stevenson e di Jules Verne scintillava già nelle pupille cieche di Omero – o di coloro che ne ereditarono il nome – nel momento in cui si trattò di raccontare come fosse stato possibile per Ulisse avere la meglio su un ciclope o di quale genere d’astuzia si fosse servito l’eroe greco per scendere nel regno dell’oltretomba.

Non è difficile, tuttavia, riconoscere quello stesso acume nella loquela dei trovatori, dei poeti e dei cantastorie che nel corso del Medioevo si spostarono di villaggio in villaggio, di castello in castello, per affascinare intere generazioni con le canzoni di Orlando e di re Artù. Gesta di eroi che hanno tenuto occupato per secoli non solo le nostre orecchie, ma anche una distesa sconfinata di pagine in pergamena, nobilitando un po’ per volta le lingue romanze e il nostro stesso modo di concepire la narrazione, fino ad approdare sullo scrittoio dell’Ariosto.

Quasi stupisce il pensiero che ancora oggi, in un’epoca in sui si fagocitano informazioni alla velocità di trilioni di bit al secondo, sopravviva il nome del vescovo Turpino, che non solo partecipò di persona alla campagna militare di Carlo Magno contro i mori di Spagna, ma che addirittura ne descrisse la ferocia e lo spirito spavaldo trasformandola in un’epopea così immensa da infiammare la mente del don Chisciotte di Cervantes, al quale, “a forza di dormir poco e di legger molto, si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione”.

Chi, del resto, non ha mai sognato di sguainare una spada o di affrontare le onde di un mare in tempesta? È naturale cedere alla tentazione d’immedesimarsi in eroi invincibili, anche solo per provare l’illusione di sentir svanire per un attimo il peso della routine che grava sulle nostre spalle. Ma chi, nei Secoli bui, mise in versi o in prosa le imprese cavalleresche di questi uomini straordinari si spinse ben oltre il semplice bisogno di svago, temperando il fuoco dell’azione con l’intento di celebrare la grandezza del genere umano. Grandezza che se in Ulisse fu l’astuzia, in Orlando si traduce in fede: nei tre giorni in cui il paladino franco sostenne il suo celebre scontro col titanico Ferraù, egli infatti non si limitò a menar fendenti ma di tanto in tanto, tra un assalto e l’altro, duellò verbalmente col saraceno per discutere di Dio e di alte questioni teologiche.
E prima che la stagione letteraria dei giganti cedesse il passo a quella dei mulini a vento, la produzione dell’avventura epica aveva dispiegato le sue vaste ali, spaziando dalle storie “apocrife” di Merlino e di Lancillotto fino ai viaggi per mare verso l’Oriente che l’Anonimo Padovano mette in scena nell’Entrée d’Espagne, trasformando proprio Orlando in un giramondo esotico pari a Simbad il marinaio.

Non è tutto frutto dell’inventiva, questo mirabolante intreccio di trame. Benché gran parte dell’immaginario geografico dell’Entrée e di altri poemi epici sia stato concepito al chiuso di uno scrittoio monastico, intorno XIV secolo ci si documentava già alla maniera di Emilio Salgari, avvezzo a consultare libri per costruire le superbe ambientazioni del suo ciclo indo-malese.

Le fonti, fra il Tre e Cinquecento, andavano dalla Geographia di Tolomeo al Milione di Marco Polo, che ponendosi a cavallo tra la verità e l’invenzione ebbe il beneficio di vivere due vite: una reale e l’altra letteraria. Fu un avventuriero, messer Marco, proprio come Corto Maltese, con la differenza che nelle sue vene scorreva sangue veneziano e non l’inchiostro di Hugo Pratt. Altrettanto si dica del fiorentino Francesco di Balduccio, che nell’autunno del Medioevo peregrinò da Anversa a Cipro, fino all’Armenia, per conto della ricca Compagnia de’ Bardi.

Nelle sue memorie di viaggiatore, La pratica della mercatura, messer Francesco annovera ogni sorta di dettaglio riguardante le merci, le unità di misura, la moneta e le usanze di Paesi lontani, contribuendo non solo a inaugurare il cosiddetto Umanesimo imprenditoriale, ma anche ad arricchire le fantasie popolari sui racconti di mare. “Una nave”, scrisse, “deve essere munita di buoni alberi e di buone antenne”, ma pure “di armadure, cioè di corazze, e di balestre, e di ferramento, e di lance, e di dardi, e di mannare, e di pietre”, in modo da potersi difendere in caso di guerra o di attacco dei pirati.

Ma torniamo a Orlando. È proprio sulla sua scia e sul nostalgico ricordo dell’ardore cavalleresco – trasfigurato nel capolavoro eroicomico di Cervantes – che lo spirito avventuroso s’incarna nella figura storica e teatrale di Cyrano de Bergerac. Spadaccino, poeta e libertino, ferì certo più con la piuma d’oca che con la spada, ma non si astenne dal tener la lama celata nel fodero. Al punto che, con sprezzante orgoglio, intorno al 1651 rivolgerà una lettera a un gesuita che si era azzardato ad assoldare un sicario per toglierlo di mezzo. “Era un uomo d’azione, quello!”, gli scriverà Cyrano. “Voi gli avevate dimostrato molto bene che un omicidio era l’unica via per riconciliarsi con Dio ed egli vi aveva ciecamente creduto”.

Non sembra forse di sentir già parlare D’Artagnan in una pagina di Dumas? Ed eccolo, il pungente Bergerac, comparire nella commedia di Edmond Rostand. Eccolo col suo lungo naso e “il mantello sollevato dietro dalla spada come la coda di un gallo”. Il suo duello con l’insulso Valvert, scandito dalla celebre ballata che alla chiusura di ogni strofa recita “al fin della licenza io tocco”, riprende e modernizza la tenzone teologica tenuta dal conte Orlando contro Ferraù. Ma ora, a contendersi la vittoria, non sono la Croce e la Mezzaluna, bensì l’arguzia e l’ottusità umana.

Con circa cinquant’anni di anticipo dalla prima teatrale del Cyrano di Rostand (1897), viene pubblicato I tre moschettieri di Dumas, nel quale si celebra il felice e ormai perfetto connubio fra la trama avventurosa e il romanzo d’appendice. Narrazione sincopata e chiusura dei capitoli in luogo dei colpi di scena diventano una regola fissa. E da questo momento sarà impossibile arginare un immaginario letterario che parla di spadaccini, di inganni, di avvelenamenti, di inseguimenti a cavallo e di donne d’intrigo destinate a restare per sempre fedeli al modello di Milady de Winter.

Ancor prima di Dumas, sarà anche il Manzoni a inserire, nei Promessi sposi, delle vere e proprie sequenze avventurose, dai duelli giovanili di fra’ Cristoforo ai misfatti commessi da don Rodrigo e dai suoi bravi. E prima ancora, Walter Scott, “inventore” del romanzo storico, narrerà le prodezze del cavaliere Ivanhoe, affacciandosi sul Medioevo di quel Robin Hood già celebrato dalle ballate medievali e riscoperto proprio da Dumas padre.

Sono, questi, gli anni del Romanticismo. Gli anni in cui si plasma la figura di un eroe apolide, un outsider illuminato e coraggioso destinato a prendere le sembianze del Conte di Montecristo. O del superuomo di massa, chioserebbe Umberto Eco. Mi riferisco a un eroe umbratile, degno dei Canti di Ossian, ma che contenga in sé anche uno slancio vitale capace di imporre la propria individualità e la propria giustizia sui malvagi, pure a costo di scavalcare le regole del vivere sociale.

È in questo calderone che si teorizza il “banditismo sociale” che riconosce i suoi archetipi in figure di avventurieri e ladri gentiluomini quali Ghino di Tacco e Robin Hood o, più di recente, lo Zorro di McCuelly e il Lupin di Leblanc. Ed è sempre in questo contesto che si definisce la figura narrativa del pirata, o corsaro. Uno dei primi esempi riguarda il romanzo d’esordio del turbolento Eugène Sue, Kernok le pirate, che sullo sfondo di una storia di mare ritrae un duro e sprezzante cercatore di tesori. Ben presto, questo prototipo di filibustiere si scinderà per dar forma a figure quasi antitetiche. Da un lato sorgono il Corsaro Nero e il Sandokan di Emilio Salgari, capaci di raccogliere e di definire gli elementi che hanno caratterizzato fino a quel momento l’eroe “romantico”, nobile e implacabile. Dall’altro sorgeranno invece le figure “doppie”, fra cui il re incontrastato è, senz’ombra di dubbio, il diabolico Long John Silver.

La doppiezza del pirata senza gamba, che sotto la penna di Stevenson si riflette in quella di Jekyll/Hyde, richiama il medesimo dramma interiore di Macbeth. Siamo al cospetto di anime dannate, scisse tra il desiderio del riscatto e quello, incontenibile, di libertà. Nati sotto una stella oscura, per usare le parole del trovatore medievale Raimon Jordan, si avvicinano in modo impressionante al leggendario Cola Pesce, che “mai più sulla terraferma andò a dimorare / o se lo fece, a morir là fu poi tornato / nel grande mare da cui non poté più uscire”.

È quindi evidente quanta poca originalità ci sia nei discorsi di chi magnifica, oggi, le peculiarità psicologico-sociali del romanzo noir. Il rovello interiore è figlio legittimo della narrativa d’avventura, che è ben lontana dall’essere “roba per ragazzi”. Attraverso di essa si snodano tematiche che vanno dal concetto di anarchia a quello di involuzione antropologica, come emerge tra le pagine del Gordon Pym di Poe o in alcuni racconti di Jack London. O addirittura si va dall’analisi sociale espressa in Tortuga di Valerio Evangelisti fino alla teorizzazione del diverso esposta in Cristiani di Allah di Massimo Carlotto.
A prescindere dunque dalla ricerca dello svago promesso dai racconti di avventura, è bene ricordare che la leggerezza di queste trame si fonda su riflessioni profonde. E che il tappeto magico della lettura, che ci consente di volare da una storia all’altra, potrebbe improvvisamente sfilacciarsi e farci precipitare in situazioni fin troppo attinenti alla nostra realtà.

Fonte: La Lettura 24/06/2018

 


24/06/2018

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