C'era del marcio nella FIFA. E c'è ancora


di Fabio Tonacci

Arriva in libreria Cartellino rosso, dove il giornalista Ken Bensinger ricostruisce lo scandalo che travolse Blatter e soci. Tracciando una pista che porta a Trump. E al Russiagate... 


Dopo appena tre giorni di processo al calcio e al suo organo di governo, la Fifa, nell'aula della Corte federale di Brooklyn erano successe già queste cose: un collaboratore del governo degli Stati Uniti, Alejandro Burzaco, ex amministratore della società di produzione Toraeos y Competencias, aveva ammesso di aver pagato 160 milioni di euro di tangenti a trenta persone, e aveva pianto due volte al banco dei testimoni; uno degli imputati, Manuel Burga, ex presidente della Federazione peruviana, aveva guardato negli occhi Burzaco e aveva mimato il gesto di tagliargli la gola; Jorge Delhon, avvocato che lavorava nel settore dei diritti televisivi del calcio in Argentina, dopo la testimonianza di Burzaco si gettò sotto il treno numero 3251 della Linea Roca, nel quartiere Lanùs, a Buenos Aires. 

Era il novembre scorso. «Il peggior scandalo della storia della Fifa», come venne ribattezzato dai giornalisti dopo l'arresto per tangenti a Zurigo di sette alti dirigenti della Federazione mondiale, veniva giudicato, ironia della sorte, da una giuria popolare statunitense che del calcio sapeva poco e niente. Dei 40 imputati (tra cui i vertici delle confederazioni americane, membri del Comitato esecutivo della Fifa), ventiquattro si erano già dichiarati colpevoli, mentre altri quindici erano sfuggiti all'arresto. Jack Warner, ex vicepresidente della Fifa e personaggio chiave nell'inchiesta dell'Fbi durata più di 5 anni, era stato catturato a Trinidad ma aveva evitato l'estradizione grazie al suo team di legali. Alla Corte, dunque, restava da emettere il giudizio solo su tre imputati, ma per la prima volta alla sbarra c'era la Fifa, guidata, fino ai giorni della retata nell'hotel Baur au Lac, avvenuta il 27 maggio del 2015, dallo svizzero Sepp Blatter. 

Le accuse del procuratore federale erano devastanti; la Fifa e il calcio internazionale operavano come una mafia; la corruzione era endemica, a tutti i livelli; gli uomini che gestivano lo sport più seguito del mondo si erano arricchiti illegalmente alle spalle dei tifosi. Come nelle situazioni più disperate, la Fifa aveva provato a difendersi attaccando i funzionari corrotti, sperando di cavarsela con l'isolamento delle mele marce. «Hanno vergognosamente abusato della fiducia per arricchirsi, causando un danno diretto e primario alla Fifa». Un danno di immagine che aveva affossato i bilanci della no-profit svizzera; 122 milioni di dollari di deficit nel 2015,369 milioni nel 2016. Gli ufficiali della Fifa dissero che avrebbero cambiato tutto, e che la trasparenza sarebbe stata la stella polare di li in avanti. 
Il successore di Blatter, l'italiano naturalizzato svizzero Gianni Infantino, promise la rivoluzione. Nel marzo del 2017 consegnò al procuratore generale svizzero un'indagine interna sulla corruzione di 1.300 pagine, che aveva commissionato dopo la retata. Ma che tuttora si rifiuta di rendere pubblica. L'unica cosa che alla Fifa hanno deciso di divulgare è il famoso Garda Report sulle candidature dei mondiali 2018 e 2022, ma solo dopo che un'agenzia di stampa tedesca aveva minacciato di farlo al posto loro. E tutta questa auspicata trasparenza non è che si veda molto, come racconta al Venerdì il giornalista investigativo americano Ken Bensinger. Nel suo libro Cartellino Rosso, racconta e approfondisce la genesi dello scandalo e il suo epilogo. «La Fifa non mi ha aiutato durate la ricerca, anzi mi ha negato l'accredito per seguire le elezioni presidenziali del febbraio 2016.Avevo contattato il loro ufficio stampa ed ero andato a Zurigo, ma mi dissero che non c’era più spazio. Strano, visto che le elezioni si tenevano all'Hallenstadion, lo stadio dell'hockey che conteneva 15.000 persone. Mentre aspettavo fuori, mi chiamò Sepp Blatter invitandomi a casa sua per guardare le elezioni in diretta sul tablet. E accettai.»

Quel che emerge dal lavoro di Bensinger sono le notevoli connections tra il caso Fifa e il Russiagate che coinvolge il presidente americano Donald Trump. E non solo perché Robert Mueller, il procuratore speciale del Russiagate, era il direttore dell'Fbi quando si aprì l'inchiesta sulla corruzione nella Fifa (fu lui a chiedere di allargare il campo all'ipotesi di riciclaggio internazionale e a pretendere che vi lavorassero agenti specializzati nel crimine organizzato russo). «Uno dei testimoni chiave - spiega Bensinger - era il pittoresco Chuck Blazer, allora segretario generale della Concacaf (la Confederazione del Centro-Nord America e dei Caraibi) e membro del Comitato esecutivo della Fifa. Viveva nella Trump Tower ed era amico personale del presidente. Anche un altro degli imputati, il brasiliano José Maria Mann, aveva un condominio fi. E la Trump Tower era stata il luogo dove era nata una agenzia abusiva di scommesse, una pista che aveva condotto l'Fbi fino a Londra, a quello che considero 0 legame più interessante col Russiagate: l'uomo che fornì i primi indizi della corruzione nella Fifa, ipotizzando che la Russia si era comprata l'assegnazione dei mondiali del 2018, fu l'ex spia dell'MI6 Christopher Steele. L'autore del successivo dossier sulle relazioni pericolose tra Trump e il Cremlino. Senza il caso Fifa, dunque, dubito che l’Fbi avrebbe potuto ottenere quel dossier».

Il 12 dicembre 2017 terminò la lunga sfilata di testimoni chiamati davanti alla Corte Federale di Brooklyn. Le istruzioni ai giurati popolari del giudice Pamela Chen erano contenute in 54 pagine: li metteva in guardia sulla complessità di quanto si apprestavano a valutare, sulla normativa anti-corruzione, sulle frodi informatiche e sul riciclaggio. Una settimana più tardi José Maria Marin, presidente della Confederazione brasiliana di calcio dal 2012 al 2015, e Juan Àngel Napout, fino al 2015 presidente della Confederazione sudamericana e vicepresidente della Fifa, furono condannati per nove delle dieci imputazioni formulate, tra cui la corruzione. L'ultimo verdetto della giuria fu un'assoluzione, in favore di Manuel Burga, della Federazione peruviana. Al vertice della Fifa, oggi, non ci sono più né Sepp Blatter, che era stato presidente per 22 anni, né il suo segretario generale Jerome Valcke. «Credo che, dopo lo scandalo, la Federazione abbia provato a riformare se stessa», osserva Bensinger. «Per la prima volta il segretario generale è una donna, ad esempio, e hanno trasferito dal Comitato esecutivo al Congresso il compito di votare l'assegnazione dei Mondiali. Però, allo stesso tempo, non pubblicano il report sulla corruzione interna costato almeno 16 milioni di dollari». Una delle conseguenze di quanto successo è stata la fuga degli sponsor tradizionali, che ha consegnato il bilancio della Fifa agli sponsor cinesi, apparsi a frotte dopo lo scandalo. «Ciò solleva sospetti sul fatto che la Cina stia provando a comprarsi il diritto a ospitare i mondiali del 2030. In sintesi, le cose sono cambiate, ma non così tanto».

Fonte: Il Venerdì 26/10/2018


26/10/2018

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