Andy Weir, autore di The Martian: “La fantascienza non è solo visione distopica”


Dopo il successo di The Martian, e del film da cui è stato tratto, lo scrittore torna in libreria con un nuovo romanzo fantascientifico, Artemis. Ecco cosa ci ha detto a proposito di realismo scientifico, ispirazioni letterarie e progetti futuri

Di Michele Bellone

Artemis è la prima città costruita sulla Luna. È piuttosto piccola, si regge su turisti provenienti dalla Terra e, come tutte le città, non è priva di un sottobosco di attività illecite. In questo sottobosco si muove Jasmine Jazz Bashara, una contrabbandiera svelta e ambiziosa che, ovviamente, finisce coinvolta in una situazione ben più grande di lei. Questa è la trama di Artemis. La prima città sulla Luna, il secondo romanzo dello scrittore californiano Andy Weir, già autore di L’uomo di Marte (da cui è tratto il film Sopravvissuto. The Martian), in libreria dal 16 novembre per Newton Compton.

Weir ha 45 anni, vive in California e quando era ventenne ha iniziato a scrivere sul suo blog Galactanet, fra webcomic, racconti e curiosi crossover fra Alice nel Paese delle meraviglie, Oz e Peter Pan. Proprio qui, nel 2011, ha iniziato a pubblicare una storia a puntate che, su incoraggiamento dei fan, ha poi messo in vendita su Amazon, dove ha rapidamente raggiunto la cima della classifica dei libri di fantascienza.

Protagonista di questa storia era un astronauta americano rimasto da solo su Marte dopo un incidente durante una missione e costretto a sopravvivere in attesa del salvataggio. È proprio la trama da cui è stato tratto The Martian, il film diretto da Ridley Scott, con Matt Damon nella parte dell’astronauta Mark Watney.

Dopo il grande successo del suo esordio, Weir ci riprova con un’altra storia ambientata fuori dalla Terra e caratterizzata da un alto livello di realismo scientifico.

La Twentieth Century Fox, insieme a New Regency, non ha perso tempo e ha preventivamente acquistato i diritti cinematografici di questo libro, che diventerà un film realizzato da Phil Lord e Christopher Miller.

Le aspettative su Artemis sono alte: riuscirà Weir a dimostrare di essere all’altezza del suo successo o rischia di restare schiacciato dai film tratti dai suoi romanzi (non è lui l’autore delle sceneggiature)? In attesa di sapere che reazioni susciterà Artemis, abbiamo intervistato Weir.

La tua carriera è cominciata come scrittore auto-pubblicato; pensi che il self-publishing possa essere una strada percorribile per un esordiente per raggiungere un grande editore?

“Assolutamente sì. L’editoria classica è pressoché morta oramai e il self-publishing è una via verso il successo basata sul puro merito. Le case editrici fanno business e se gli si presenta un prodotto che si è dimostrato capace di vendere, saranno molto interessate”.

Tutti gli scrittori di fantascienza devono trovare un delicato equilibrio fra il realismo scientifico e le esigenze narrative. Come hai affrontato questa sfida mentre lavoravi ad Artemis? Hai dovuto fare delle forzature, a livello scientifico, per far funzionare la tua storia?

“La sola forzatura nel romanzo è che i prezzi nell’orbita lunare siano stati abbassati dalla competizione nell’industria del commercio spaziale. Tutto il resto è il più accurato possibile dal punto di vista scientifico. Di certo avrò commesso qualche errore, ma non ho forzato le regole per giustificare la trama”.

Da un punto di vista scientifico, è stato più impegnativo scrivere L’uomo di Marte o Artemis?

L’uomo di Marte, senza dubbio. Ho dovuto calcolare le traiettorie orbitali di un’astronave in costante accelerazione e non è stata una passeggiata”.

Qual è l’idea da cui sei partito?

“Volevo scrivere una storia incentrata sul primo insediamento umano al di fuori della Terra e non poteva che essere sulla Luna. È il corpo celeste più vicino al nostro Pianeta, il che la rende perfetta per quanto riguarda commercio e turismo”.

Artemis è più fantascientifico de L’uomo di Marte, però entrambi sono ambientati al di fuori della Terra, in un contesto dove la sopravvivenza dipende dall’intelligenza e dalla scienza. Oltre a questi elementi, i due romanzi hanno altro in comune?

“Non molto. Sono due storie molto diverse. Il primo è incentrato sulla sopravvivenza, mentre il secondo è un thriller.”

Quali sono state le tue ispirazioni, sia scientifiche sia letterarie, nella creazione di una città lunare?

“La principale fonte di ispirazione per questo romanzo è stata Chinatown. È uno dei miei film preferiti e parla di tutto il torbido che si muove sotto la superficie di una città in crescita. Essenzialmente Artemis si basa sullo stesso concetto”.

Ne L’uomo di Marte c’erano le patate, in Artemis c’è il gunk (un prodotto a base di alghe). Sembra quasi che ti piaccia l’idea di costringere i tuoi protagonisti a seguire una dieta restrittiva e non sempre molto saporita.

“È solo una conseguenza della vita lontano dalla Terra. Il nostro cibo qui proviene da ettari di campi coltivati ma nello Spazio non c’è nulla di tutto ciò. Quindi bisogna improvvisare. Le alghe sono un’ottima soluzione per creare cibo in un luogo piccolo come la città di Artemis o una base su Marte”.

La protagonista, Jazz, è un’eroina molto intelligente, generosa e dalla lingua tagliente. Qual è il personaggio che più ti ha ispirato nel crearla?

“Jazz è l’incarnazione di un archetipo classico, quello dell’adorabile canaglia. Ma se devo proprio scegliere un personaggio, allora ti dico Philippe il Topo di Ladyhawke“.

In un’altra intervista avevi rivelato che inizialmente Jazz non era la protagonista del romanzo. Chi lo era? Perché alla fine hai scelto Jazz?

“Quando ho iniziato a lavorare ad Artemis, la trama e i personaggi principali erano completamente diversi. Non c’è più traccia di loro nella versione finale del libro. In quel contesto iniziale, Jazz era un semplice personaggio secondario che però, man mano che la rielaborazione della trama e dell’intreccio procedeva, ha acquisito sempre più importanza, finché non sono arrivato ad assegnarle il ruolo principale. A quel punto, nella mia testa aveva preso le sembianze di una donna saudita e la mia immaginazione si sarebbe ribellata se avessi provato cambiarla”.

Jazz Bashara e Mark Watney vivono nello stesso universo romanzesco? Se sì, hai mai pensato di farli incontrare?

“Diciamo che per ora non lo escludo ma non ho ancora deciso nulla a riguardo”.

Dopo The Martian avevi iniziato a lavorare a un’idea per un altro libro, Zhek, una storia di alieni, telepatia e viaggi a velocità superluminale. Che fine ha fatto quel progetto? Lo hai abbandonato definitivamente?

“Sì, ho lasciato perdere. Non scriverò Zhek, semplicemente perché non funzionava. C’erano però alcuni spunti di trama e abbozzi di personaggi che credo fossero venuti bene, quindi non escludo di sfruttarli per futuri lavori”.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

“Mi piacerebbe scrivere il seguito di Artemis, ma cambiando protagonista. Mi piacerebbe davvero se questa città lunare potesse diventare il luogo in cui ambientare molti dei miei prossimi libri”.

Lo scrittore Neal Stephenson sostiene che la fantascienza si è fissata su scenari nichilisti e apocalittici. Così ha fondato il progetto Hyerogliph, per incoraggiare gli autori fantascientifici a smetterla di preoccuparsi e a imparare ad amare il futuro, in modo da diventare ispiratori del progresso e dell’innovazione scientifica. Cosa ne pensi di tutto questo?

“Sono assolutamente d’accordo con Stephenson. Non so perché la fantascienza moderna si concentri solo su visioni fosche e distopiche del futuro. Non credo che ci attendano scenari così tetri e di sicuro quelle non sono il tipo di storie che mi piace leggere”.

 

Fonte: Wired.it 16/11/2017


16/11/2017

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