Anche il detective è cattivo. Così il giallo riscrive le regole.


Di Angela Marsons
Traduzione di Clara Nubile

Preistoria di un genere II precursore fu Edgar Allan Poe, padre del primo investigatore letterario. Sempre a Poe si deve la figura dell'assistente, anche se in seguito questo ruolo fu consolidato dal personaggio di Watson, l'aiutante di Sherlock Holmes nelle opere di Conan Doyle. Il sergente Bryant, partner della mia eroina Kim Stone, è esattamente quello che deve essere un bravo «secondo».

Futuro di un genere Gli scrittori contemporanei indagano a fondo e nel dettaglio i malvagi, indugiando sulle loro vicende personali per definire la personalità del criminale. Per assurdo, nel thriller moderno acquista quasi più importanza la motivazione del gesto rispetto all'individuazione del colpevole. E i buoni si arricchiscono di particolari negativi: il protagonista positivo smette di essere perfetto e onesto.

La location L'ambientazione è sempre stata molto importante per me. Mi ero fissata che i crimini più efferati sarebbero potuti accadere solo in città famose come Londra o Manchester o Edimburgo. Poi ho capito che...

La protagonista ...in realtà il personaggio di Kim Stone è figlio della classe operaia, dei luoghi dove vivo: la Black Country, nelle Midlands occidentali, un'area del Regno Unito tristemente nota per il suo oscuro passato industriale.

Chi ha letto i miei libri sa bene che la detective Kim Stone, protagonista dei romanzi, non è particolarmente brava a seguire le regole. Questo mi ha spinta a riflettere su quanto io stessa sia disposta a rispettare una serie di norme prestabilite durante il processo di scrittura.
Negli ultimi anni mi sono spesso chiesta se, in effetti, non stessi infrangendo le regole tipiche dei thriller, trascrivendo semplicemente storie che germogliano da idee disseminate nel mio inconscio. Mi sono fatta spesso domande al proposito. Tipo: ma ci sono davvero delle regole assolute, come fossero scolpite nella pietra? E quali di queste possono essere ignorate? E ancora, chi ha inventato queste regole? Forse alcune sono lì apposta per essere trasgredite? E così via. Finché mi è stato chiaro che è stato solo estendendo, infrangendo e cambiando le regole che siamo arrivati fin qui. Se ci guardiamo indietro la crime fiction si è sviluppata come genere indipendente nel XIX secolo quando comparvero i primi detective: investigatori di polizia o segugi dilettanti che giungevano alla soluzione di un caso raccogliendo indizi, analizzando moventi, alibi, in fondo gli stessi elementi che troviamo nei thriller moderni. Prima di allora non si poteva contare su detective, poliziotti o scaltri investigatori per risolvere un caso.
Il precursore del genere fu Edgar Allan Poe, padre del primo detective letterario: C. Auguste Dupin, il protagonista di alcuni suoi racconti scritti nella prima metà dell'Ottocento; un personaggio che intrigava il lettore grazie alla sua straordinaria capacità di scovare indizi, anche i più nascosti.
Sempre a Poe si deve la figura dell'assistente del detective, anche se in seguito questo ruolo fu consolidato dal personaggio di Watson, l'aiutante di Sherlock Holmes nelle opere di Conan Doyle. Il personaggio di Watson rappresentava la cassa di risonanza di idee, teorie e commenti del celebre detective inglese, infatti i processi mentali e logici di Sherlock divennero in questo modo accessibili al lettore attraverso le conversazioni che intavolava con il suo assistente.
Ma il ruolo dell'aiutante dell'investigatore è anche un espediente narrativo per rappresentare la coscienza, il campanello d'allarme del protagonista; può simboleggiarne la voce della ragione, ma anche un freno a impulsività e irruenza. Spesso riservato, assennato, con una carriera stabile e rispettabile alle spalle, l'esistenza dell'assistente trova la sua ragione nello stimolare intellettualmente l'investigatore e poterne così ricavare, al momento giusto e nel posto giusto, informazioni utili per il lettore.
Il sergente Bryant, partner di Kim Stone, corrisponde esattamente a questo profilo: ascolta, dà consigli e si comporta da bravo assistente, ma è anche un collega molto paziente e comprensivo; spesso sfida la detective più di quanto oserebbe chiunque altro. È di frequente descritto come «la cosa più vicina a un amico che ha Kim».
In realtà i primi a cambiare le regole furono proprio Poe e Conan Doyle anche quando esplorarono il sottogenere poliziesco della «Locked Room» («il mistero della camera chiusa»), l'artificio narrativo in cui ci si trova dinanzi a un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili, come un locale chiuso dall'interno. Al lettore vengono offerti indizi, sparsi qua e là, per incoraggiarlo a risolvere il caso prima della strabiliante rivelazione finale. Come dicevamo, quindi, nel tardo Ottocento, Conan Doyle ravvivò l'allora emergente genere poliziesco con il personaggio del famoso Sherlock Holmes, che non era né un detective né un investigatore di polizia, ma accettava clienti che lo pagavano per risolvere un mistero.
Il punto di forza nelle storie di Sherlock Holmes è la deduzione logica, basata sull'osservazione dei dettagli, anche i più insignificanti, che generalmente possono sfuggire allo sguardo di una persona comune. È come se lo scrittore ci dicesse che gli indizi sono sempre lì, davanti a noi. La differenza la fa l'occhio di chi guarda.
Negli anni Venti e Trenta del Novecento, l'età d'oro del genere poliziesco, si affermarono autrici come Agatha Christie e Dorothy L. Sayers che avevano la peculiarità di condurre abilmente il lettore sulla pista sbagliata per poi smascherare come colpevole l'indiziato meno probabile. Molte di queste storie erano ambientate in luoghi suggestivi come le caratteristiche case di campagna inglesi, che ben si prestavano come sfondo per le claustrofobiche indagini sui personaggi coinvolti nel caso.
Per me l'ambientazione è sempre stata molto importante: ho trascorso tanti anni a scrivere libri ambientati in luoghi che, secondo me, gli editori avrebbero apprezzato, anziché mettere in scena le mie storie in zone che conoscevo bene e avrei potuto descrivere con autenticità. Mi ero fissata sull'idea che i crimini più efferati sarebbero potuti accadere soltanto in città famose per i lettori come Londra, Manchester, Glasgow o Edimburgo.
Quando ho permesso al personaggio di Kim Stone di affiorare in superficie, ho capito che era figlia dei luoghi dove vivo: la Black Country, nelle Midlands occidentali, un'area del Regno Unito tristemente famosa per il suo oscuro passato industriale. E, quando Antonio D'Orrico mi ha descritto su queste pagine come «la nuova regina dei thriller polizieschi, dall'inconfondibile stile della classe operaia», ho avuto la felice conferma di aver preso la decisione giusta. L'evoluzione del romanzo poliziesco nel genere thriller ha dato origine a storie a sfondo psicologico, cariche di suspense, in cui la caratterizzazione dei personaggi è curata tanto quanto la trama, se non addirittura di più. Anziché focalizzarsi sull'attesa trepidante della risoluzione del caso, il lettore si ritrova a condividere i pensieri del protagonista, mentre cerca di intuire quel che accadrà. Penso che questo sviluppo abbia cambiato in modo radicale il genere poliziesco, aprendo la via a un'esplorazione più profonda dei personaggi e delle loro motivazioni: scoprire le ragioni alla base di un crimine è diventato importante quanto scoprire il colpevole del crimine stesso. Gli scrittori contemporanei indagano a fondo e nel dettaglio i «cattivi», costruendo le loro vicende personali attraverso eventi significativi, che definiscono la personalità del criminale. Questa libertà permette agli autori di considerare più approfonditamente la motivazione dietro al crimine, e così esplorare i tratti del personaggio e la psicologia di un reato in maniera più dettagliata.
Un'attitudine che non riguarda solo i cattivi della storia, ma anche i protagonisti. Non è più necessario che i detective siano perfetti o addirittura onesti nei tanti casi presentati dal narratore, che è inaffidabile.
Ho trovato grande fonte di ispirazione in autori come Val McDermid, Carol O'Connell, Stuart MacBride e Lynda La Plante che in comune hanno il fatto di aver trasgredito le regole classiche del genere poliziesco.
Val McDermid ci ha regalato l'originale Tony Hill, un personaggio unico nel suo genere: uno psicologo clinico che lavora per il ministero degli Interni come esperto di profilazione criminale. Soffre di un disturbo di coordinazione motoria e non è per niente socievole, usa metodi deduttivi poco ortodossi e il lettore si ritrova all'interno di una sorta di gioco di ruolo per accedere ai pensieri nella sua testa.
La detective newyorkese Kathy Mallory, frutto della fantasia di Carol O'Connell, è una sociopatica borderline, assolutamente incapace di identificarsi o provare empatia per le sue vittime o per i suoi colleghi, eppure determinata a esigere giustizia. A volte, la sua mancanza di coinvolgimento emotivo viene presentata come un punto di forza nella risoluzione dei casi.
I romanzi di Stuart MacBride sono ambientati ad Aberdeen, in Scozia, e imbevuti di un feroce senso dell'umorismo soprattutto nelle descrizioni dei crimini più nefandi e delle manifestazioni umane più abiette. Uso anch'io questo espediente per bilanciare la materia oscura dei miei libri.
Lynda La Plante, nel suo libro Oltre ogni sospetto, ha infranto una tacita regola della crime fiction identificando l'autore del crimine con l'indiziato principale e il disvelamento finale lascia il lettore a bocca aperta.
Tra le altre cose, questi autori mi hanno dato il coraggio di ascoltare la voce nella mia testa che apparteneva a Kim Stone. L'ho tenuta a lungo nascosta perché sapevo che non assomigliava affatto agli altri detective che avevo incontrato nei tanti libri letti. Era sgarbata e inavvicinabile, e non sempre solidale con le vittime. Soltanto quando l'ho fatta uscire dalla mia immaginazione e le ho permesso di abitare le pagine dei miei libri, affidandole autonomia di movimento, ho iniziato a comprendere le sue qualità positive: la passione per la giustizia, la determinazione e la tenacia, le imbattibili capacità deduttive e l'empatia per i derelitti.
Devo molto agli autori fin qui citati che mi hanno quindi insegnato che potevo infrangere le regole, farmi guidare dai personaggi stessi e introdurre elementi psicologici in un thriller poliziesco.
Visti i risultati mi auguro che gli autori di crime fiction continueranno a trasgredire le regole, allargare i confini di questo genere letterario per indagare ed esplorare le tenebre della mente criminale, plasmando personaggi complessi e sfaccettati in grado di appassionare e, allo stesso tempo, regalare un intrattenimento di ottima qualità.

Fonte: La Lettura 20/08/2017


20/08/2017

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