Dalla Luna a Marte. Ma per arrivarci servirebbe il nucleare


di Andy Weir

Cinquant'anni fa, il 20 luglio 1969, lo sbarco dell'uomo sul nostro satellite. E ora? Si studia come arrivare sul pianeta rosso. Ma ci vorranno trent'anni.


Beh, quello sì che è stato un "viaggio avventura": quello di Armstrong e Aldrin di 50 anni fa, intendo. Pensate: dopo l'accuratissima pianificazione e tutti i calcoli della Nasa, alla fine era stato scelto un luogo d'allunaggio pieno di spuntoni rocciosi. Non potendoli vedere dalle immagini satellitari, alla Nasa si pensava fosse un'area liscia. Armstrong ha dovuto volare manualmente per trovare uno spiazzo sicuro, e ha toccato la superficie quando all'"Eagle" restavano soltanto due secondi di carburante. I viaggi spaziali del futuro saranno meno avventurosi di quell'impresa, e saranno senz'altro più turistici. Prevedo un boom del turismo Spaziale quando le compagnie avranno trovato il modo di abbassare il costo dei lanci: quando la classe media potrà permettersi l'esperienza - unica nella vita - di un volo spaziale, non se la lascerà sfuggire e tutto il settore esploderà. Per quanto riguarda il mettere piede su Marte, invece, sono leggermente meno ottimista: non penso che riusciremo a scendere sul pianeta rosso per il 2030. Credo che il 2050 sia una previsione più sicura. Potremmo in teoria farcela per il 2030, ma ci vorrebbe un grande sforzo collettivo, come è successo per la Stazione Spaziale Internazionale. Temo che non accadrà: non c'è ancora la volontà. E poi c'è qualche problema da risolvere. Ad esempio, gli effetti a lungo termine degli ambienti a gravità zero sugli esseri umani. È qualcosa a cui dobbiamo prestare più attenzione. Arrivare su Marte richiederebbe dei mesi. Se gli astronauti passano questo tempo a gravità zero, arrivati a destinazione sarebbero a malapena capaci di reggersi in piedi. L'unica soluzione è un'astronave a forma di centrifuga rotante, che fornisca gravità artificiale al suo interno così che gli astronauti non si indeboliscano. Ma realizzarla è una bella sfida. 
Un'altra sfida è trovare il giusto equilibrio tra uomo e robot. I robot sono eccezionali per esplorare, ma il cervello umano è impareggiabile nel risolvere problemi inaspettati. Se i cervelli umani sono troppo lontani dall'azione, è un guaio. Marte è tra 5 e 20 minuti-luce lontano dalla Terra. Chi controlla le sonde marziane fino ad oggi ha dovuto inviare una serie di comandi, aspettare diversi minuti perché fossero ricevuti ed eseguiti, e poi regolarsi di conseguenza. Non sarebbe meglio se i guidatori dei rover avessero una risposta immediata ai loro comandi, proprio come un bambino controlla un'auto radiocomandata? Questo è possibile: basta mettere dei robot su Marte e degli uomini su una stazione orbitante attorno al pianeta rosso. Così avremmo il meglio di due mondi: non dovremmo impelagarci negli aspetti complessi e incredibilmente pericolosi del far atterrare uomini su Marte e poi farli ripartire. Avremmo robot su Marte, capaci di fare tutto quello che un uomo può fare, e cervelli umani che li comandano in tempo reale. Ma come ci spingeremo fino a Marte? Per me la strada obbligata è la propulsione a ioni, che ci permette di risparmiare sulla massa di propellente da caricare sull'astronave. Probabilmente richiederà un reattore nucleare a bordo. E questo potrebbe essere un requisito politicamente spinoso. L'alternativa, l'uso di pannelli solari, non è molto praticabile: se vuoi tenere la massa da spostare nello spazio al minimo, hai bisogno di un reattore. Comunque c'è tempo per pensarci e produrre nuove idee. A proposito di idee, ogni tanto mi chiedono: ma se tu potessi essere tra i primi uomini a scendere su Marte, ci andresti? Beh, nemmeno per sogno. Io scrivo di uomini coraggiosi, d'accordo, ma non mi sento uno di loro, (testo raccolto da Giuliano Aluffi).

Fonte: la Repubblica Scienze 18/07/2019

 


18/07/2019

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