Anna Premoli. Diario di scrittura


Elena è molto più brava del fratello eppure il padre sceglie lui per guidare l'azienda

Scrivo romanzi "rosa" per parlare di economia e prendere in giro un mondo del lavoro ancora troppo maschile 
Le mie protagoniste amano l'amore ma non aspettano il "principe Azzurro" perché sono ironiche e indipendenti  


di Anna Premoli

Il rosa è un colore che non amo molto nella vita di tutti i giorni. Possiedo pochissimi capi rosa e quei pochi che ho sono destinati ai periodi estivi, nei quali tutti si sentono più coraggiosi del solito in tema d’abbigliamento. 
Non amo il colore rosa eppure scrivo commedie che l’editoria etichetta con un colore specifico, il rosa. E lo faccio da anni, nonostante io sia un’economista piuttosto “quadrata”, una bocconiana con una laurea in Economia dei mercati finanziari e una lunga esperienza nel campo degli investimenti e del private banking.
Ma rosa, d’altronde, vengono anche chiamate le quote di genere a cui si fa riferimento nella legge 120/2011 nota come Golfo-Mosca, che prevede espressamente che gli organi sociali delle società quotate arrivino nel tempo a nominare al loro interno almeno un terzo del sesso meno rappresentato che – rullo di tamburi – è appunto quello femminile. Rosa, pare. Colore ostinato che proprio non vuole andarsene dalla mia vita. 
E allora, se rosa deve essere, che lo sia secondo le mie regole o secondo la mia personalissima tonalità, mi sono detta a un certo punto, mentre riflettevo da cosa lasciarmi ispirare per la stesura di una nuova storia. D’altronde, avevo già abbattuto stereotipi su stereotipi sulle protagoniste femminili del cosiddetto romanzo rosa tradizionale. 
Su questo tema faccio subito outing: nella vita come nella fiction, mi piacciono le donne ironiche, indipendenti, con la testa sulle spalle e assolutamente determinate a non volersi sacrificare senza motivo per l’uomo di turno. 
Un certo tipo di letteratura rosa ha creato l’illusione che i miliardari in circolazione abbondino. Ahimè, le statistiche invece parlano chiaro, temo. Molto meglio puntare su sé stesse e sulla propria realizzazione umana e professionale, e, perché no, raccontare una storia del tutto differente dalla solita favola di Cenerentola e del Principe Azzurro. Ha fatto il suo tempo, come pure quel romanticismo legato alla totale dipendenza dai soldi o dai desideri di un’altra persona. 
La mia protagonista è una giovane donna che, come temo sia capitato a molte, si è vista preferire il fratello alla guida della società di famiglia, nel momento in cui si è trattato di affrontare il tema del passaggio generazionale. Sulla carta era decisamente più qualificata per prendere le redini dell’azienda, ma non è bastato.
Non che questo le sia di qualche conforto, ma Elena è in buona compagnia: nel settore finanziario la forza lavoro femminile è ormai la metà (in Italia nel 2015 il dato era pari al 44%), ma solo a livello generale. Le donne ai vertici sono infatti il 22% nelle società pubbliche e il 17% in quelle private. Prima dell’introduzione della legge sulle quote rosa i dati erano deprimenti: agli inizi del 2000 le donne che in Italia sedevano nei consigli di amministrazione delle quotate erano il 2%. Nel 2011, prima degli obblighi di legge, la cifra era arrivata a un faticoso 7%. Oggi siamo vicini al 35%, ma, chiamatemi pure cinica, temo l’accelerata derivi solo ed esclusivamente dalla Golfo-Mosca, la cui non osservanza prevede salate multe. 
E pensare che in uno studio dei professori Woolley e Malone, pubblicato sulla «Harvard Business Review», viene chiaramente evidenziato come l’intelligenza collettiva di un team abbia in verità poco a che fare con i singoli QI, mentre la presenza femminile all’interno dei gruppi di lavoro la innalzi non poco. Gli autori concludono che l’inserimento delle donne nei vari team è motivo di sicuro successo.
Qualcuno non lo definirebbe un tema da commedia rosa, e quel qualcuno potrebbe sbagliarsi, perché la mia tonalità di rosa non si fa problemi a riflettere su tematiche di assoluta attualità: donne sottorappresentate ai vertici delle società e donne che lottano contro i luoghi comuni che per troppo tempo le hanno tenute lontano dalle aziende di famiglia. Vale la pena ricordare che l’Italia è una repubblica fondata sulle imprese familiari; le società familiari sono l’essenza stessa del tessuto economico del nostro Paese, e un modello imprenditoriale che riserva alle donne sempre e solo ruoli in ambiti come le risorse umane o il marketing, in realtà danneggia sé stesso, perché si priva di una potente leva di crescita e di potenziale successo. Le donne non hanno alcun problema a maneggiare numeri o piani previsionali: provare per credere.
E infatti, non a caso, quando le cose precipitano e il fratello di Elena alla prova dei fatti si rivela per nulla all’altezza di un simile ruolo di responsabilità, lei viene chiamata in causa affinché si rimbocchi le maniche e prenda le decisioni difficili. Secondo la mia personale esperienza, alle donne capita spesso, e non solo tra le pagine di un romanzo. 
Le toccherà quindi porsi il problema dell’apertura ai capitali di terzi per poter rilanciare la società, decidere come avvicinarsi al mondo del private equity e di chi fidarsi per arrivare eventualmente alla quotazione della società. L’imprenditoria di stampo familiare si è infatti mostrata storicamente più restia ai grandi cambiamenti, adottando spesso un atteggiamento conservatore e di chiusura nei confronti del mercato di capitali. 
In questo percorso tutt’altro che banale a Elena capiterà di innamorarsi proprio di uno di quegli squali finanziari che le ispirano tanta diffidenza. It’s an old boys’ club, si dice non a caso ancora oggi del mondo finanziario. 
Quello tra Elena e Edoardo sarà un vero scambio alla pari, una lotta a suon di furbizia e battute brillanti, perché l’amore rimbambisce solo quelli che sono dotati di scarsa fantasia e non sanno come mettersi in gioco. 
Perciò una commedia rosa, sì, ma un genere di rosa che si vuole fare portatore di tematiche concrete e tutt’altro che banali e che mira a far riflettere su come il talento vada riconosciuto e premiato a prescindere dal genere. C’è ancora tantissima strada da fare in tema di donne e finanza; parlarne con la giusta ironia all’interno di un romanzo è il mio personale contributo alla causa. In fin dei conti è una delle lezioni basi dell’economia: diversità e complementarietà di vedute sono leve per la creazione di valore. Sfruttiamole.

Fonte: TTL 12/10/2019


12/10/2019

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